«Tutti gli altri soggetti che ai tempi vennero informati dal dottor Davigo dell'esistenza di quei verbali secretati» non hanno «mai» avuto «a obiettare alcunché nel momento in cui venne fatto oggetto dell'asserita “rivelazione segreta”, e neppure successivamente, quando emerse l'anno dopo pubblicamente la circostanza». Lo scrivono i legali di Piercamillo Davigo, gli avvocati Francesco Borasi e Davide Steccanella, nel ricorso depositato alla Corte di appello di Brescia contro la sentenza di condanna a un anno e 3 mesi (pena sospesa) e 20mila euro di risarcimento per Sebastiano Ardita nei confronti dell'ex membro del Csm, per aver rivelato il contenuto dei verbali della “Loggia Ungheria” resi dall'ex legale esterno Eni Piero Amara alla procura di Milano e a lui consegnati ad aprile 2020 dal pm Paolo Storari, lamentando inerzie investigative da parte dei suoi vertici e il “muro di gomma” rispetto alle necessità di svolgere indagini rapide sulla presunta loggia massonica.

«Anche costoro - si legge nel ricorso di Davigo con riferimento a una dozzina di persone informate dell'esistenza dei verbali a Roma fra maggio e settembre 2020 - seppure a diverso titolo (avvocati, magistrati) sono uomini di legge, e ricoprenti le più alte cariche istituzionali in campo giudiziario, compreso il procuratore generale presso la Corte di Cassazione (all'epoca Giovanni Salvi, ndr), il quale, ben guardandosi dall'eccepire al dottor Davigo la commissione del reato di rivelazione di segreto, ritenne di immediatamente rivolgersi al procuratore della Repubblica di Milano ( all'epoca Francesco Greco, ndr) per sollecitare la ritardata iscrizione' sul registro degli indagati.

«Ho letto la sentenza di condanna e l'ho trovata profondamente sbagliata e per questo meritevole di essere impugnata nella convinzione che la Corte di appello assolverà Davigo perché a mio parere non ha commesso nessun reato», ha spiegato all’Adnkronos l’avvocato Steccanella.