«Se proprio “si vuole spaccare il capello in due”, si può asserire che è stata una decisione che, per l’importanza anche internazionale rivestita dalla procedura di estradizione passiva, “pecca” soltanto per essere stata troppo sintetica, quando casi del genere, ed a fronte del robusto parere accusatorio, avrebbero meritato una presa di posizione espressa ed esplicita delle ragioni che hanno condotto il Giudice a ritenere non ostativi gli elementi addotti dalla Procura a conferma della permanenza della custodia, ma tutto ciò, beninteso, deborda “completamente” dal perimetro di contestazione elevato che, per quanto riferito, non risulta fondato».

Con queste parole la sezione disciplinare del Csm ha motivato l’assoluzione dei tre giudici della Corte d’Appello di Milano - Monica Fagnoni, Micaela Serena Curami e Stefano Caramellino -, finiti sotto procedimento disciplinare dopo aver concesso gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico ad Artem Uss, l’uomo d’affari russo arrestato a Malpensa il 17 ottobre del 2022, poi trasferito dal carcere di Busto Arsizio alla sua abitazione di Basiglio e fuggito il 22 marzo 2023, subito dopo il via libera all’estradizione negli USA.

La Corte di Milano, nel richiamare e fare suoi una serie di elementi innovativi difensivi, «ha ritenuto che i medesimi attestassero il progressivo radicamento in Italia dell’estradando quale dato idoneo a sostituire la custodia in carcere con la misura cautelare immediatamente meno afflittiva (arresti domiciliari con braccialetto elettronico e annesse prescrizioni comunicative), con la conseguenza che i rilievi valorizzati dal giudice sono logicamente incompatibili con tutte le circostanze di segno opposto che, incluse nel parere della procura generale, sono state implicitamente valutate e superate dai nuovi (e non smentiti) elementi di fatto posti a corredo della motivazione della Corte di appello».

Il fulcro della vicenda, a parere della sezione disciplinare, è che «la Corte, con una motivazione tecnicamente implicita, ha valorizzato talune circostanze di fatto che, strutturalmente alternative a quelle di segno opposto rappresentate dalle altre parti, ha consentito di giungere ad una decisione dopo avere valutato e ritenuto non ostative le circostanze di valenza contraria espresse nel parere della procura generale di Milano».

Da questo punto di vista, il “metodo”, “il protocollo dell’agire del giudice” «è stato assolutamente rispettato, perché, con una motivazione implicita che ha dato credito a talune circostanze antitetiche alle altre, la Corte è giunta ad una decisione che si è fondata sulla valutazione complessiva di tutte le evenienze significative del caso di specie, talune delle quali sono state considerate idonee ad affievolire le esigenze cautelari riscontrate in concreto ed altre sono state (in via logica) ritenute superate da quelle nuove di fatto valorizzate».

Dunque, non vi è stata «alcuna omissione delle circostanze significative incluse nel parere della procura», così come non vi è stata, per stare alla tesi della procura della Cassazione, alcun comportamento negligente di non evidente gravità, ma si è solo fatto uso della motivazione “implicita”, nell’accezione considerata, per assumere e motivare una decisione legittima e, in questo senso, insindacabile, nel pieno rispetto dei tempi e delle procedure di legge.

A volere ritenere altrimenti, si rischierebbe di invadere la sfera di autonomia che la clausola di salvaguardia di cui all’art. 2 comma 2 decreto legislativo 109/06 prevede a tutela e indipendenza del singolo magistrato. Ne deriva che «contestare l’omessa valutazione di circostanze decisive» significa «elevare un’incolpazione che risulta insussistente nel caso concreto e che rischia, sotto questo aspetto, di stigmatizzare il merito della decisione che, in quanto tale, è del tutto insindacabile, non essendo in presenza di un comportamento abnorme della Corte di appello, nell’accezione a suo tempo declinata».

Si può, al più, «senza nascondersi dietro il dito», parlare «di una motivazione eccessivamente sintetica, nel senso che, in casi così importanti in cui è in gioco il bilanciamento del valore della libertà con il rispetto dei trattati internazionali, è sempre opportuno motivare in modo espresso ed inequivoco, riportando brevemente le ragioni addotte dalla parte opposta e spiegare i motivi per cui sono stati disattesi, magari “spendendo qualche giorno in più, senza essere ossessionati dal rispetto delle scadenze” (che pure vanno sempre salvaguardate) per affrontare, in casi come questi, “di petto ed in via espressa” le questioni più significative poste a base della vicenda da valutare».

Ma tutto ciò «riguarda le modalità tecniche di redazione del provvedimento ed attiene, dunque, alla mera opportunità della stesura dello stesso, non avendo qui alcuna rilevanza disciplinare rispetto ad un’ordinanza che non riflette alcuna abnormità del decidente, ma risulta, di contro, legittima e insindacabile nel merito».

Basterebbe «fermarsi qui», prosegue la sezione disciplinare. Ma per ragioni di completezza, i “giudici” del CSM (Fabio Pinelli, Ernesto Carbone, Paola D’Ovidio, Edoardo Cilenti, Antonino Laganà e Roberto Fontana, relatore) evidenziano come «non risulta proposto alcun ricorso per Cassazione (...) avverso i provvedimenti cautelari della Corte di appello in materia di libertà personale in tema estradizionale, così come, pur essendo l’ipotesi pacificamente ammessa, alcuna richiesta di aggravamento della misura è stata avanzata dalle medesime parti anche in via subordinata rispetto all’accoglimento della richiesta di estradizione, come poi verificatosi nel caso di specie».

In questo senso, è stato solo lo Stato richiedente (gli Stati Uniti d’America) «che ha da subito sollecitato il collaterale italiano a richiedere la permanenza della custodia in carcere, risolvendosi tale invito un sollecito di fatto rimasto legittimamente inascoltato».

L’assenza di impugnazione “stride” con la successiva azione disciplinare, perché se si riteneva la decisione giudiziaria così gravemente viziata, era logicamente atteso un ricorso in Cassazione o la richiesta di aggravamento della misura.

Inoltre, la nota del ministero agli Stati Uniti del 6 dicembre 2022, in risposta alla richiesta di mantenere la custodia carceraria, conferma che lo stesso ministero ha riconosciuto la legittimità della scelta della Corte d’Appello, affermando la parificazione giuridica tra arresti domiciliari (con braccialetto elettronico) e custodia in carcere.

La decisione della Corte d’Appello di attenuare la misura cautelare si fondava su elementi di fatto nuovi e non contestati (come la disponibilità abitativa di Uss a Milano), che possono legittimamente giustificare una diversa valutazione cautelare.

La decisione dei giudici, dunque, non presenta profili di abnormitàcarenze motivazionali così gravi da legittimare una sanzione disciplinare, anche alla luce di un precedente, risalente al 2011, quando il giudice ignorò del tutto elementi oggettivi e sfavorevoli documentati (come precedenti negativi di permessi premio, valutazioni di pericolosità), rendendo un provvedimento privo di qualsiasi motivazione su punti essenziali.

Nel caso in esame, invece, non vi era un’omissione macroscopica, ma una scelta discrezionale su basi fattuali nuove e difensive, non assimilabile alla gravità del caso disciplinare precedente. La decisione della Corte d’Appello, dunque, era motivata su basi difensive nuove e non contestate e l’inerzia del ministero nell’impugnare il provvedimento contraddirebbe la fondatezza dell’iniziativa disciplinare.