Dibattito serrato nello stand del Dubbio al Salone del libro di Torino tra il presidente dell’Anm Cesare Parodi e il costituzionalista Giovanni Guzzetta. Il tema è stato ovviamente quello della riforma costituzionale della separazione delle carriere, proprio nei giorni di forti polemiche al Senato tra opposizioni e maggioranza per la decisione di quest’ultima di portare in Aula il provvedimento l’11 giugno, quando molto probabilmente non ci sarà il tempo di dare mandato al relatore e analizzare tutti gli emendamenti. «Una scelta che ci amareggia, ma purtroppo non ci sorprende», ha detto Parodi. Ha replicato Guzzetta: «La Costituzione consente alla maggioranza di fare una riforma senza l’accordo con l’opposizione, salvo poi esporsi al rischio del referendum. Ovviamente, anche ai fini di un maggior consenso, si può valutare questo aspetto, ma non è un problema di costituzionalità, bensì di opportunità politica». Ha aggiunto: «Dal punto di vista del diritto costituzionale io non vedo particolari forzature in un contesto in cui peraltro le forzature della Costituzione sono ahimè all’ordine del giorno da decenni, senza che nessuno si scandalizzi. Pensate che cos’è il fenomeno dei decreti legge».

Abbiamo poi affrontato il modo in cui si sta portando avanti la campagna comunicativa in vista del referendum: alcuni mesi fa sulle bacheche Facebook di molti magistrati sono apparsi messaggi in cui si diceva che la riforma va osteggiata perché ideata da Licio Gelli. Mentre i favorevoli alla separazione sostengono che Rocco, Grandi e Mussolini siano i veri padri dell’unicità delle carriere. Parodi invece preferisce guardare al presente: «L’Italia di oggi non è quella di Mussolini e Gelli. Non possiamo cancellare la storia, dimenticarla, ma abbiamo un presente molto complesso. E nell’immediato ci sono tutti gli elementi per difendere l’attuale assetto costituzionale. La Costituzione è stata già fortemente e correttamente emendata con l’articolo 111. Il giusto processo lo abbiamo già», anche se «devo ammettere che purtroppo forse può essere capitato che dei pubblici ministeri non abbiano ricercato le prove anche a favore dell’indagato, ma parliamo di singole eccezioni».

A proposito di Costituzione, secondo Guzzetta invece «l’unità delle carriere è quasi considerata un dogma, un’eredità dei nostri padri costituenti. Ma non è così. I tanti, autorevolissimi, costituenti - da Moro a Bettiol a Calamandrei, Einaudi, a Leone - che parteciparono al dibattito della Costituente, erano perfettamente consapevoli che la soluzione di un’unica carriera non fosse quella migliore. Proprio Bettiol nel 1947 dichiarava: “le funzioni del pubblico ministero non devono essere incapsulate insieme a quelle dei giudici, ma tenute distinte. È proprio dei regimi totalitari voler considerare il pubblico ministero come un organo della giustizia”». A proposito del ruolo del pm Parodi ha illustrato i rischi sottesi alla riforma: «Essa vuole limitare in qualche modo l’autonomia e l’indipendenza della magistratura? Indirettamente. Perché quello che non si dice è che in tutti i Paesi dove c’è la separazione delle carriere, in qualche modo il pubblico ministero è subordinato all’Esecutivo. E allora il nostro timore non è legato ad un processo alle intenzioni, ma osserviamo quello che accade negli altri Stati, anche in Portogallo». Secondo Guzzetta la necessità della riforma «è legata alla realizzazione dell’articolo 111 della Costituzione laddove leggiamo che “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. Ebbene, di fronte a un giudice terzo imparziale, c’è una parte, ossia la magistratura requirente, che ha tutta una serie di relazioni con quella giudicante, in particolare al Csm dove ad esempio decidono insieme le carriere di giudici e pm. C’è un rischio di conflitto di interessi che si ripercuote sulla terzietà dei giudici». Su questo punto Parodi ha portato l’argomento «dell’oltre 40 per cento delle assoluzioni in primo grado. Si tratta di un dato empirico di cui il legislatore avrebbe dovuto tener conto perché questi dati dimostrano che non c’è alcuna sudditanza psicologica e culturale del giudice rispetto al pubblico ministero». Discutendo di Csm, il professor Guzzetta ha lanciato una proposta: «Se il confronto tra le parti è utile anche per l’esercizio delle competenze del Csm, allora oltre alle attuali componenti dovrebbe esserci anche quella dell’avvocatura che vive anch’essa i problemi della giustizia?». Parodi non si è detto contrario: «Su questo punto non posso parlare a nome dell’Anm ma a titolo personale posso dire che è una proposta che avrebbe un senso e potremmo lavorarci ma penso sia tardi. A quel punto credo che sarebbe anche giusto che negli organi disciplinari dell’avvocatura ci fosse una presenza del pubblico ministero e del giudice». Parodi poi, rispondendo ad una domanda sulle accuse di politicizzazione rivolte alla magistratura, si è detto «d’accordo sul fatto che ci sia stato un eccessivo protagonismo di alcuni magistrati e questo non ha giovato all’immagine della magistratura. In generale esiste un tema al nostro interno: alcuni di noi, io personalmente no, ritengono che la manifestazione politica delle loro idee sia un qualcosa di dovuto, qualcosa di necessario, quasi di ontologico rispetto al loro ruolo. Altri ritengono che sia giusto il contrario. Come magistratura siamo compatti su tutto. Ma il mio compito, in questo momento, è proprio tenere insieme queste due anime». Parodi ha poi ammesso: «La nostra immagine è fortemente deteriorata un po’ per colpa nostra, un po’ perché altri hanno avuto un interesse a presentarci ancora peggio di quello che siamo. Oggi dobbiamo cercare di recuperare questa immagine ma non tanto per noi stessi ma perché i cittadini devono avere fiducia nella giustizia e avere fiducia nella giustizia vuol dire anche fidarsi delle persone». Su questo Guzzetta ha replicato: «Come diceva Montesquieu “persino la virtù ha bisogno di limiti”. I magistrati hanno nelle loro mani il destino di molte persone, spesso non basta l’etica, occorrono delle regole».