Uscirà il 4 aprile in libreria La corruzione spuzza, sottotitolato: “Tutti gli effetti sulla nostra vita quotidiana della malattia che rischia di uccidere l’Italia”, un volume che farà discutere, se non altro vista l’autorevolezza dei due autori, Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, e Francesco Caringella, già giudice penale a Milano al tempo di “Mani pulite” e attuale presidente della quinta sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato. Insomma, due dei più acerrimi nemici istituzionali del fenomeno corruttivo. Ulteriore caratteristica, non di secondo piano, di Caringella è quella di essere un affermato scrittore di legal thriller, aspetto che permette di spaziare in un contesto culturale più ampio di quello riservato alla giustizia. Lo incontriamo, profittando della nostra vecchia amicizia, nella sua città di origine, in un caffè storico sul lungomare della bellissima Bari, location ricorrente nei suoi gialli.

Un altro libro sulla corruzione?

Sì, io e il presidente Cantone, ci siamo fatti la stessa domanda e ci siamo risposti di sì, che c’è ancora qualcosa da aggiungere, soprattutto dal punto di vista pratico operativo, alla lotta al malaffare, che era necessario porre la nostra esperienza al servizio degli amministratori pubblici e dei politici ma anche e soprattutto dei formatori e dei giovani, perché la questione riteniamo sia prima di tutto educativa e culturale e poi normativa e giudiziaria.

Andrea Camilleri ha scritto: “Mentre il rigore morale e l’onestà non sono contagiosi, l’assenza di etica e la corruzione possono moltiplicarsi in modo esponenziale con straordinaria velocità”. A quanto pare, non condividi la tesi del papà di Montalbano?

No, non la condivido. Sia il cattivo che il buon esempio generano imitazione. Spesso mi accorgo che i cittadini non considerano tra i lo- ro principali problemi la corruzione o si sono rassegnati ad essa. Fa più paura il ladro d’appartamenti o il rapinatore occasionale di un politico che malversa o ruba. Per questo è necessario parlar chiaro, spiegare in modo concreto che la corruzione ci fa vivere peggio, uccidendo il futuro dei nostri figli. Un appalto pilotato, una licenza edilizia comprata, una sentenza truccata sembrano vicende che toccano i soldi pubblici, non le nostre finanze personali. E invece quel denaro rubato è anche nostro, perché la cosa pubblica è una ricchezza comune, e la sua gestione immorale danneggia tutti, in ispecie le nuove generazioni che si trovano a cimentarsi con un mercato del lavoro incancrenito e impoverito.

L’attenzione per la formazione dei giovani è da sempre un tuo pallino. La scuola di magistratura e avvocatura, che hai fondato, è da anni impegnata su questo fronte.

Come soleva ripetere Giovanni Falcone, “la mafia si batte tra i banchi di scuola”. Come ho già detto, sia io che Cantone di questo nuovo volume siamo convinti che occorra ripartire dall’educazione al rispetto delle regole e dalla ricostruzione di un patrimonio comune di valori morali.

Una specie di testo di nuova educazione civica, materia ormai abbandonata nell’istruzione scolastica?

Perché no? Il nostro lavoro si rivolge contemporaneamente sia ai pubblici funzionari che agli studenti delle scuole e delle università italiane. I soldi intascati dai corrotti significano opere pubbliche interminabili, edifici che crollano alla minima scossa di terremoto, malasanità, istruzione al collasso, cervelli in fuga, giustizia drogata, mancanza di investimenti stranieri, ambiente violentato, politica inquinata. E questo tutti noi dobbiamo sempre ricordarlo e insegnarlo ai nostri figli. Il nostro libro vuol essere anche un sostegno in questo difficile compito educativo dei genitori.

Che cosa vi ha colpiti del discorso di Papa Francesco ai ragazzi di Scampia nel marzo del 2015, “La corruzione spuzza, la società corrotta spuzza e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, spuzza”, tanto da utilizzarla come titolo del vostro libro?

Le sue parole centrano il cuore del problema. Apprezzo molto il lavoro di rifondazione morale che Bergoglio sta volgendo sia all’esterno che all’interno della Chiesa. È il primo pontefice ad aver condannato così nettamente la corruzione, denunziando con linguaggio semplice ed efficace la profonda e inconciliabile contraddizione tra l’essere credenti e l’essere corrotti o corruttori. La corruzione si è trasformata da dramma politico e socioeconomico in emergenza morale diffusa. Papa Francesco ha avuto la forza di dire chiaramente che la corruzione puzza, fa ribrezzo, che bisogna rifiutarla ed espellerla dalla nostra società.

Cambiamo argomento. Una battuta che serpeggia tra i corridoi della politica suona “Non si muove foglia che Cantone non voglia”. Essa rivela la convinzione che le leggi 190/ 2012 ( istitutiva dell’Anac) e 133/ 2013 non abbiano fatto altro che aumentare la burocrazia dei controlli, finendo per ingessare ulteriormente l’economia, mentre il nostro Paese resta tra i peggiori nel ranking mondiale della corruzione. I superpoteri di Cantone stanno funzionando? Come si potrà uscire dall’emergenza?

Non è vero che non ci sono risultati, la nostra posizione va migliorando, tenuto conto della pervasività del problema non risolvibile con colpi di bacchetta magica. Bisogna tenere conto che la corruzione si evolve, si espande a macchia d’olio. Come mostrano le inchieste su “Mafia Capitale” e sul Mose, è diversa dal passato. Non più solo passaggi di denaro ma giri vorticosi e smaterializzati di favori, piaceri, collusioni. Non più il classico accordo privato fra corruttore e corrotto, ma la creazione di un’organizzazione criminale attraverso cui politici, burocrati, imprenditori e mafiosi perseguono gli stessi obiettivi spesso nell’assordante silenzio dei tantissimi onesti che finisce per somigliare alla connivenza. Alla più accentuata pericolosità del fenomeno corruttivo non corrisponde un’adeguata coscienza collettiva della necessità, etica e pratica, di reagire.

C’è molto da fare innanzitutto sul fronte normativo. Molte delle norme sull’anticorruzione sono appesantimenti di adempimenti formali che non eradicano la causa del male. Poi ci sono gli aspetti pratici e operativi che coinvolgono l’apparato della pubblica amministrazione. I pubblici funzionari non vengono formati per prevenire la corruzione. Bisogna operare un cambiamento di rotta e il libro che ho scritto con il presidente Cantone va proprio in questa direzione. Affiancamento più che controlli asfissianti e censure, consiglio oltre che comando, suggerimenti sulle buone pratiche oltre che sanzioni temibili.

La corruzione spuzza è ispirato a questa filosofia di vicinanza collaborativa alla politica e alla pubblica amministrazione, vuol essere una sorta di vademecum per gli operatori?

Anche questo è il nostro obiettivo, come dicevo. Sostenere gli addetti ai lavori con una serie di pareri, di raccomandazioni, di casistiche e soluzioni comportamentali, atti a prevenire prima che curare la patologia. Crediamo che la interlocuzione con i soggetti delle diverse pubbliche amministrazioni sia fondamentale, ecco perché una pragmatica elementare serve e l’abbiamo così impostata per macrosettori della pubblica amministrazione. In questo senso, abbiamo ritenuto di dedicarci alla formazione di una classe dirigente preparata sia tecnicamente che moralmente ad affrontare la guerra contro il male italiano per antonomasia.

Chi è il giudice corrotto?

Il giudice corrotto o corruttibile, come qualunque altro funzionario pubblico, è un uomo o una donna che innanzitutto non ama il suo lavoro, non ne capisce l’importanza, è annoiato e insoddisfatto e comincia a finalizzare su se stesso i suoi compiti anziché al servizio della collettività. Se ti diverti lavorando, se ci metti entusiasmo, non pensi che i soldi siano il valore per eccellenza. Un mio collega e maestro diceva sempre: “Non c’è nessuna causa più importante di altre”.

Un’ultima domanda che esula, ma non troppo, dal contesto della nostra chiacchierata. Potere e libertà da sempre si considerano concetti antitetici o, quantomeno, difficilmente compatibili. Da magistrato eserciti un importante potere giurisdizionale e, allo stesso tempo, come scrittore, hai la possibilità di dispiegare le ali della più assoluta libertà creativa. Ti senti un privilegiato o fatichi a trovare un equilibrio tra queste tue due anime?

È una contraddizione solo apparente. Se si vede il potere non come arroganza autoreferenziale ma come utilità per gli altri, se si decide secondo umanità, ci si sente profondamente liberi. Certo lo scrittore scrive sempre, anche quando non scrive, e così faccio io ripensando alle vicende reali che mi vedono coinvolto in funzione di giudice, ma la letteratura ha aggiunto una dose di ulteriore umanità al mio lavoro, permettendomi di vedere esseri umani in attesa di giustizia, oltre che le loro vicende strettamente processuali. In fondo, il mio essere scrittore di thriller giudiziari scaturisce proprio dal bisogno di indagare gli aspetti più reconditi dell’animo umano che il processo non mi permette fino in fondo di sondare.

Una volta in Corte d’assise mi trovavo nel collegio che stava giudicando un imputato per omicidio. Prima della lettura del dispositivo della nostra sentenza l’uomo, che rischiava l’ergastolo, mi guardo dritto negli occhi provocandomi un profondo turbamento. Forse da lì trasse spunto il mio primo romanzo.