Il leader di Azione pronto a sfidare Zingaretti nel collegio di Roma. Raggi e Casalino fuori

Forse alla fine Renzi e Calenda si presenteranno alle elezioni insieme, galli particolarmente baldanzosi in un pollaio le cui dimensioni reali sono a tutt'oggi ignote. Forse invece sceglieranno due liste distinte e uguali in tutto tranne che nel nome del leader. I gemelli diversi finiranno insieme? Ad Azione e Iv serve la doppia cifra

Renzi e Calenda pronti a unire le forze ( anche grazie al socialista Nencini) Ma un terzo polo che restasse sotto il 10 per cento non avrebbe peso politico

Forse alla fine Renzi e Calenda si presenteranno alle elezioni insieme, galli particolarmente baldanzosi in un pollaio le cui dimensioni reali sono a tutt'oggi ignote.

Forse invece sceglieranno due liste distinte e uguali in tutto tranne che nel nome del leader, se Calenda preferirà aggirare lo scoglio della raccolta delle firme ricorrendo al supporto del socialista Riccardo Nencini, che di un simbolo dispone e che sarebbe già stato contattato. In ogni caso le elezioni del 25 settembre risolveranno un enigma che incombe sulla politica italiana da un pezzo: la possibilità di dar vita a un centro che, ove se ne dimostrassero esistenza e forza, sarebbe destinato a incidere a fondo sugli assetti futuri da ogni punto di vista.

Sin qui il centro è stato l'araba fenice: che ci fosse lo dicevano tutti, dove fosse non avrebbe saputo dirlo nessuno. Lo strappo di Calenda, da questo punto di vista, fa chiarezza. Che siano in campo uno o due simboli compiutamente centristi, non alleati e accorpati alla destra o al Pd, il risultato non cambierà: sarà evidente di quanto spazio già dispone il centro, quanto può ambire ad allargarsi ma anche dove pesca di più, se a destra, sinistra o da entrambe le parti.

Il calcolo che ha portato Calenda a rompere senza un vero motivo, dal momento che Letta si era adeguato alla lettera all'accordo raggiunto dai due leader martedì scorso, è stato probabilmente proprio questo. In coalizione col il Pd l'ex ministro avrebbe probabilmente razziato più voti a sinistra ma si sarebbe del tutto precluso il campo a destra perché gli elettori di quella metà campo non avrebbero mai accettato di votare indirettamente per il Pd e a maggior ragione per Fratoianni e Bonelli.

Se su un punto Letta ha affettivamente deluso il capo di Azione non è in effetti stato nel merito dell'accordo con Si e Verdi ma nella pubblicità data allo stesso accordo. Calenda aveva chiesto di tenere la cosa molto sotto tono, quasi nascosta, senza strette di mano di fronte alle telecamere e conferenze stampa. Europa Verde non avrebbe però potuto accettare i panni del parente povero e di cui ci si vergogna. Non poteva che reclamare una visibilità destinata a essere pagata a caro prezzo da Azione sul mercato della destra. Calenda ha preferito fingere che Letta non avesse rispettato l'accordo e tornare su quel mercato.

Ma quanto questa scelta, per la quale hanno molto premuto le ministre ex Fi, è destinata a costargli sul versante opposto? Non lo sapremo fino al giorno delle elezioni.

Nel Pd l'area che avrebbe preferito di gran lunga un'intesa centrista piuttosto che la caricatura di Cln messa in piedi da Letta è molto forte e tra l'elettorato la percentuale “filocentrista” è anche più vasta. Nel Pd però la fedeltà di partito è ancora abbastanza forte e la paura di un “cappotto” nei collegi potrebbe rinsaldarla ulteriormente. Per quanto riguarda Renzi, ove andasse in tandem con il leader di Azione, conterebbe poi la fortissima ostilità personale che circonda l'ex segretario che, nel sentire comune dei democratici, “voleva distruggere il partito”.

Con un risultato di poco superiore alla soglia del 3 per cento ma anche del 5- 6 per cento la partita del centro sarebbe quasi compromessa.

Letta e Meloni, che proclami a parte s'intendono piuttosto bene, si adopererebbero per tagliare ogni ossigeno con una legge elettorale bipolarista.

Ma se invece il risultato fosse a due cifre, dal 10 per cento in su, Renzi e Calenda avrebbero la strada spianata per puntare sui malesseri di una destra dove Giorgia Meloni sarà padrona assoluta del campo, e di un Pd che, se la partita finisse con due terzi del Parlamento in mano alla destra, raggiungerebbe subito il punto di esplosione. Il polo centrista autonomo diventerebbe un magnete per tutti i frammenti che fluttuano nella pulviscolare galassia centrista ma offrirebbe un porto anche a tutte le aree interne a Pd, Fi e anche Lega, scontente e alla ricerca di nuovi assetti. Lo stesso tentativo di imprimere d'autorità una sterzata maggioritaria e bipolarista al sistema, tramite legge elettorale, diventerebbe molto più difficile e contrastato.

Non è insomma esagerato dire che dall'esito del colpo di testa di Calenda dipenderà molto più che non la singola sorte sua o di Matteo Renzi.