Ancora un testimone indagabile. Il processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza va avanti ormai a colpi di scena, registrando, per la quinta volta, l’invito della presidente della Corte, rivolto ad un testimone, a tornare in aula con un avvocato. Il che significa, dunque, che quel teste è stato ascoltato, in fase di indagini, senza le tutele del caso.

Questa volta è toccato a Francesca Magnavacchi, assistente sociale, che ascoltata dai carabinieri a luglio del 2019 disse di non aver messo i propri appunti personali, che facevano da base alla stesura della relazione, nel fascicolo del servizio. Sentita dai carabinieri, Magnavacchi aveva dichiarato che Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, le avrebbe detto di togliere gli appunti dai fascicoli, cosa che avrebbe fatto pur non condividendo la scelta. Ma quei fogli manoscritti, secondo l’accusa, avrebbero dovuto far parte del faldone, motivo per cui le difese dei due imputati (Rossella Ognibene e Oliviero Mazza per Anghinolfi, Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro per l’assistente sociale Francesco Monopoli), in apertura di udienza, avevano chiesto di non procedere con l’esame sollevando la questione relativa al suo status.

La richiesta è stata, però, respinta dalla Corte, cosa che ha consentito alla pm Valentina Salvi di ascoltare Magnavacchi per circa tre ore. Un lungo esame durante il quale, però, non è stata posta alcuna domanda relativa a quegli appunti. A porla, però, è stato uno dei difensori di parte civile, al quale Magnavacchi ha chiarito di aver eliminato le proprie note, perché gli appunti potevano essere tali da creare equivoci nella interpretazione dei contenuti delle relazioni, proprio perché presi per uso personale. Concetto poi ribadito anche alla presidente Sarah Iusto, che a quel punto ha interrotto l’esame invitandola a tornare con un avvocato. «Non ho certo la pretesa di essere l’unico ad aver visto cose del genere in Italia, ma siamo al quinto testimone invitato a tornare in aula con un avvocato e questo credo succeda in rarissimi casi e mai più di una volta nello stesso fascicolo - ha commentato l’avvocato Canestrini -. Questo modus operandi è un orrore procedurale, perché la polizia giudiziaria dovrebbe interrompere l’ascolto delle persone informate sui fatti quando emergono indizi di reità. Il Tribunale, per la quinta volta, ci ha detto che non sono state rispettate le garanzie a tutela della persona sentita a sommarie informazioni e della genuinità della formazione della prova, inquinando così il meccanismo procedurale».

Critico anche il giudizio di Mazza: «C’è un problema di impostazione delle indagini - ha sottolineato -, perché non è pensabile che tutti questi testimoni siano stati sentiti come persone informate sui fatti e che mai nessuno abbia rilevato la natura autoindiziante delle loro dichiarazioni. Oltretutto questo modus operandi è diseconomico, anche perché a questo punto le dichiarazioni già rese in aula risultano inutilizzabili».

Ma non solo. Durante l’udienza la pm ha proiettato una fotografia, non contenuta nel fascicolo - ma pubblicata dai giornali già a giugno del 2019, subito dopo gli arresti - che ritrae, secondo la procura, i regali che i genitori avrebbero affidato ai servizi e che non sarebbero stati consegnati ai bambini. Una foto in cui si vedono pacchi buttati per terra, in una stanza. La difesa Anghinolfi ha contestato l’assenza dal fascicolo del pubblico ministero della foto, circostanza che la pm ha giustificato sostenendo la natura di documento di quella immagine.

Un doppio errore, per i legali, «perché si tratta della presunta documentazione di un atto d’indagine di cui però le difese non hanno mai avuto contezza - ha sottolineato Mazza - e non è l’unico caso. Si tratta di una fotografia, scattata non si sa da chi, che non si sa a cosa faccia riferimento: quello che vediamo è un ammasso di oggetti incartati e buttati per terra. E non è chiaro neppure il luogo dove sia stata scattata. Questa dovrebbe essere la documentazione fotografica degli oggetti sequestrati e non può essere scissa dal verbale di sequestro. Doveva dunque essere allegata a quel verbale, con tanto di elenco numerato. Com’è possibile che, anni dopo, saltino fuori atti non depositati dal pm? Dov’è stata conservata questa documentazione? Non vorremmo dover scoprire che c’è un fascicolo “parallelo” con atti che, per ragioni a noi sconosciute, non sono stati depositati in quello di indagine».

Interrogata sui regali, Magnavacchi, lunedì, aveva anche chiarito che venivano conservati negli armadi e che a volte si prendeva tempo per valutare quando consegnarli in base alla situazione familiare. Il fatto che tale foto, pur assente dal fascicolo delle indagini, sia stata pubblicata sui giornali rende per Mazza il fatto ancora più grave: «Da dove è stata presa? - si è chiesto -. Viene da chiedersi se si tratta di un atto estratto dal “fascicolo del processo mediatico”. Siamo di fronte alla teratologia del processo penale». Le difese hanno dunque sollevato questione di nullità, sulla quale il Tribunale si è riservato.

Su domanda della pm, Magnavacchi ha parlato del tema della paura che ci fossero cimici negli uffici dei servizi, sottolineando che riteneva assurdo che si intercettassero degli assistenti sociali, spendendo soldi pubblici per ascoltare persone che stavano facendo il loro lavoro. In aula è stata ascoltata anche l’assistente sociale Cecilia Monasterolo, che a domanda dell’avvocato Ognibene ha riferito che, per quanto a sua conoscenza, il servizio sociale della Val d’Enza non aveva numeri abnormi, bensì coerenti per un servizio efficiente. Numeri che, nel 2015, erano stati confermati dal garante per l’Infanzia e l’adolescenza, dell’Emilia Romagna, Luigi Fadiga - secondo cui sarebbero stati tredici i casi di minori vittime di violenza - come coerenti con le emergenze del territorio. L’udienza di lunedì ha anche registrato la pronuncia di non luogo a procedere per tre capi di violenza privata a carico di Anghinolfi, in quanto le persone offese, sulla base della riforma Cartabia, non hanno presentato querela.