L’autointercettazione dei carabinieri di Reggio Emilia sul caso Bibbiano verrà trascritta e utilizzata durante il processo. A deciderlo è stato il collegio che dovrà giudicare gli imputati di “Angeli e Demoni” - l’inchiesta sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza -, che ha respinto l’obiezione della procura sull’irrilevanza dell’intercettazione, durante la quale si sente un militare programmare la “partenza” di alcuni audio relativi alle indagini.

Una decisione presa anche in virtù della brevità dello stesso audio, che dunque non andrà ad appesantire il lavoro del perito trascrittore. «Questa settimana mi sembra ideale per gli audio… quello del lupo… quello dei compiti in classe, del sesso con mamma e papà… tre o quattro devono partire», si sente dire in quei 29 secondi, clamorosamente registrati dagli stessi carabinieri che, l’8 luglio 2019, alle ore 10.56, stavano contattando uno dei soggetti sottoposti a intercettazione, praticamente autointercettandosi.

A depositare la richiesta era stata la difesa di Federica Anghinolfi, responsabile del servizio sociale in Val d’Enza, principale imputata del processo. Ma tutte le difese si sono associate, progressivamente, alla richiesta, per denunciare il processo mediatico che ha caratterizzato l’inchiesta. All’epoca, infatti, le indagini erano ancora in corso e sarebbero dovuti passare ancora 11 mesi per arrivare all’avviso di conclusione delle indagini. Eppure, all’epoca, tv e giornali - ma anche i canali youtube nati per l’occasione - diffondevano senza alcun criterio le intercettazioni, con le voci vive degli indagati, audio tagliati e decontestualizzati per creare la narrazione del mostro che ha poi imperato in questa vicenda. Non sono pochi, infatti, i servizi - perfino sulle reti Rai - che propongono atti coperti da segreto. Una fuga di notizie per la quale le difese avevano presentato un esposto, poi archiviato, e finito in mano alla stessa pm che ha condotto le indagini, Valentina Salvi.

Nel corso dell’udienza del 27 novembre gli avvocati Oliviero Mazza e Rossella Ognibene avevano sottoposto all’attenzione della Corte l’audio. Corte davanti alla quale era stato lo stesso procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Paci, a parlare di processo mediatico, attribuendolo però alle difese, ree di utilizzare la stampa per ribaltare la narrazione fino ad allora imperante. Paci aveva parlato di «vasi comunicanti» tra avvocati e giornali - sebbene la difesa abbia faticato a far sentire la propria voce sulle testate locali e nazionali, che hanno agito praticamente all’unisono con una visione colpevolista -, nonostante mesi e mesi di gogna ai danni delle persone coinvolte. Una vera e propria campagna d’odio che ben emerge dalle motivazioni con le quali era stata disposta la scarcerazione dei principali imputati: «Deve ritenersi che allo stato, proprio in ragione della distruzione dell’immagine pubblica degli indagati, tanto che essi devono temere per la loro incolumità», scriveva il gip Luca Ramponi, il pericolo di inquinamento probatorio «è andato via via scemando».

Secondo la difesa Anghinolfi, ad effettuare quella chiamata sarebbe stato il maresciallo Giuseppe Milano, ovvero l’ufficiale di polizia giudiziaria che ha condotto l’inchiesta e principale teste dell’accusa. Motivo per cui la telefonata sarebbe importante per valutare la credibilità del testimone. Nella registrazione si sente il militare parlare con un collega, la cui voce rimane sullo sfondo. E l’impressione, almeno per i difensori, è che si stia programmando un invio scientifico di audio alla stampa, sicuramente ghiotta di dettagli scabrosi. «L’interpretazione che facciamo di questa telefonata - aveva detto in aula Nicola Canestrini, difensore dell’assistente sociale Francesco Monopoli assieme all’avvocato Giuseppe Sambataro - è quella di una volontà di trasmettere alla stampa atti che fanno parte del procedimento penale e che poi sono stati effettivamente, nel corso del tempo, pubblicati da giornali e fatti ascoltare anche da televisioni». Da qui la riserva, dopo la perizia, «di trasmettere gli atti in procura affinché vengano verificate delle ipotesi di reato».

Un concetto fatto proprio anche da Giovanni Tarquini, difensore - assieme a Vittorio Manes - del sindaco di Bibbiano Andrea Carletti. Le difese avevano presentato denuncia non solo per il reato di pubblicazione arbitraria, ma anche di violazione del segreto d’ufficio, «e in questo caso, forse più unico che raro, noi avremmo la prova dell’autore della rivelazione del segreto d’ufficio», aveva evidenziato Mazza.

La procura aveva giustificato tali frasi depositando una nota - che riporta un timbro non contrassegnato dalla firma - in base alla quale l’8 luglio 2019 il nucleo investigativo avrebbe depositato tutte le intercettazioni relative al procedimento. Una nota non contenuta nel fascicolo in quanto, aveva spiegato la pm, «tutto ciò che riguarda le intercettazioni viene trasmesso direttamente al Cit», centro intercettazioni telefoniche. Una giustificazione che non aveva per nulla convinto la difesa. «Non può essere il preannuncio di un deposito ufficiale delle intercettazioni - aveva replicato Mazza -, anche perché a tutto concedere, se anche così fosse, dovremmo interrogarci sulla possibilità della pg di selezionare audio».

Da qui l’emergere di un’altra questione, già discussa in udienza preliminare: l’incompletezza del fascicolo pm. «Tutte le note di trasmissione della polizia giudiziaria al pm non possono non essere comprese nel fascicolo d’indagine. Questa è la riprova di ciò che abbiamo sempre detto - aveva aggiunto Mazza -, ovvero la nullità dell’avviso di conclusione delle indagini perché il fascicolo, ad oggi, è ancora incompleto. La domanda che questa difesa si pone è: cosa dobbiamo aspettarci dal fascicolo del pm, ci sono altri atti che non conosciamo, altri atti, magari favorevoli alla difesa, che non sono stati depositati?».

La difesa, però, ha intenzione di andare oltre. «Il segno della decisione è importante - spiega Mazza - perché comunque il Tribunale vuole che sia agli atti quell’audio. Quel che è certo è che le intercettazioni giravano prima della chiusura delle indagini e ciò non è possibile. Se il Tribunale avesse ritenuto che si trattasse solo di un ordine di servizio, così come sostenuto dalla pm, allora non avrebbe avuto senso accogliere la nostra richiesta. Chiaramente non aveva rilevanza nel dibattimento il modus operandi degli investigatori, se non avesse una rilevanza dal punto di vista difensivo per chiarire l’esposizione e l’impostazione mediatica dell’indagine. Adesso dovremo anche rivalutare la riapertura del procedimento a carico di ignoti per rivelazione del segreto d’ufficio. Anche perché quel procedimento aveva un’anomalia genetica, essendo stato assegnato alla pm Salvi. E non poteva per un’incompatibilità astratta. Ora vorremmo che l’indagine venisse condotta, se non dalla procura di Ancona, certamente da un sostituto diverso rispetto alla pm di questo processo, per ragioni di opportunità».