La procura “smentisce” se stessa. Ha avuto un effetto boomerang il documento depositato a novembre dalla pm Valentina Salvi nel processo “Angeli e Demoni”, con il quale l’ufficio di procura aveva replicato duramente alle difese, che avevano posto la questione della ipotesi di diffusione organizzata - subito dopo gli arresti del giugno 2019, e con indagini ancora in corso - di una serie specifica di intercettazioni che poi finirono - attraverso canali da individuare - alla stampa.

Il fatto riguarda l’ormai famosa “autointercettazione” - registrata dagli stessi sistemi predisposti dagli inquirenti - nel corso di una telefonata ad un’assistente sociale, da convocare per sommarie informazioni. In quell’audio, registrato l’8 luglio 2019, alle ore 10.56, poco meno di un mese dopo il blitz sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, si sente un Carabiniere dialogare con un collega. «Questa settimana mi sembra ideale per gli audio… quello del lupo… quello dei compiti in classe, del sesso con mamma e papà… tre o quattro devono partire». E la risposta - stando alla bozza di lavoro depositata lunedì in udienza - è di incoraggiamento: «Dai, dai, tiratelo fuori».

A consegnare quell’audio al collegio erano stati Oliviero Mazza e Rossella Ognibene, difensori di Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza e principale imputata nel processo. Ai quali si sono subito associati tutti i colleghi, convinti che la valanga di fango che ha travolto gli imputati, con tanto di pubblicazione di atti coperti da segreto, non sia stata casuale. Diverse ore dopo, sempre nel corso di quell’udienza, uno degli inquirenti fece ingresso in aula con un documento, che secondo la pm avrebbe dimostrato che l’oggetto di quella conversazione era la trasmissione delle intercettazioni all’ufficio Cit della procura - ovvero il Centro intercettazioni telefoniche, dove sono collocate le sale d’ascolto e gli apparati elettronici e informatici per le attività di intercettazione e di archiviazione dei file -, atto che non è obbligatorio, ha sostenuto, depositare nel fascicolo del pm.

Quel documento, datato 8 luglio 2019, era contrassegnato da un timbro, non validato, però, da alcuna firma. E a far sorgere ulteriori dubbi, lunedì, è stato proprio un altro atto firmato dal pm Valentina Salvi e depositato a marzo 2021 nel corso dell’udienza preliminare, quando, di fronte alle lamentele delle difese circa il mancato deposito di diversi atti, la pm aveva prodotto una memoria con tanto di cronologia di tutti i depositi.

L’atto a firma della pm è chiaro: il dvd di tutte le intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite prima degli arresti, si legge, è stato depositato presso l’ufficio Cit il 5 aprile 2019, l’hard disk delle intercettazioni telematiche il 29 maggio, i dvd di tutte le intercettazioni telefoniche eseguite dopo le misure cautelari, invece, sono stati depositati il 12 agosto 2019. Insomma, l’8 luglio non risulta alcun deposito, stando al documento della pm. Che in aula ha tuttavia provveduto a correggere il tiro, cambiando dunque la versione fornita qualche udienza prima, a novembre 2023: in quella telefonata, ha affermato, si discuteva del deposito delle intercettazioni presso il Tribunale del Riesame. Ma è lo stesso documento fornito come prova che potrebbe smentire questa versione: l’atto di deposito è infatti indirizzato, a chiare lettere, alla procura e non al Tribunale del Riesame.

Ma non solo. L’altro colpo di scena dell’udienza di lunedì riguarda la posizione di una delle testi convocate in aula, M. C. C., affidataria della piccola A., il cosiddetto “caso pilota”. Per la difesa dell’assistente sociale Annalisa Scalabrini - rappresentata dagli avvocati Cinzia Bernini ed Elisabetta Strumia -, la donna andrebbe sentita con le garanzie previste per i soggetti indagabili, con riferimento a due accuse di falso. Stando all’imputazione, infatti, gli assistenti sociali avrebbero rappresentato falsamente il miglioramento dello stato emotivo di A. a seguito dell’affido, lasciando intendere che dopo l’allontanamento la bambina aveva superato i propri limiti sul tema delle autonomie e migliorato il proprio regime alimentare.

Ma la difesa di Scalabrini ha tirato fuori alcune mail e messaggi vocali, che dimostrerebbero come fu M. C. C. a informare Scalabrini sui dichiarati di A. circa le proprie abitudini di vita prima dell’allontanamento e sui miglioramenti che la stessa affidataria aveva potuto apprezzare. Tra gli elementi valorizzati dalla Corte ci sono due mail - una dell’8 ottobre e una del 12 novembre 2018 - nelle quali la donna riferiva a Scalabrini del tentativo della bambina di «recuperare gli anni che a detta sua» avrebbe passato «seduta sul divano, davanti ad un tablet, mangiando fino a scoppiare».

La pm Valentina Salvi, in aula, ha definito «strumentale» la ricostruzione della difesa, che a suo dire avrebbe riferito solo alcuni elementi - in realtà contenuti nel fascicolo del dibattimento -, ignorando quelli che testimonierebbero invece la «buona fede della teste», che ascoltata nel corso delle indagini aveva dichiarato di non riconoscere come sue affermazioni quelle contenute nelle relazioni.

La pm aveva dedotto la presunta buona fede da alcuni messaggi vocali. Però, hanno sottolineato le giudici in ordinanza, in quei messaggi la donna si lamentava delle bugie raccontate da A. alla psicologa Imelda Bonaretti circa il rapporto con la famiglia affidataria e non con quella di origine. Da qui la decisione della Corte presieduta da Sarah Iusto - a latere Michela Caputo e Francesca Piergallini - di indicare la testimone come possibile concorrente, almeno in astratto, nel reato di falso ideologico contestato a Scalabrini e Anghinolfi. Per le giudici, infatti, dalle mail prodotte dalla difesa risulta in modo chiaro la corrispondenza tra le dichiarazioni di A. riportate dall’affidataria a Scalabrini e le parti della relazione indicate come false dall’accusa e trasfuse nel capo di imputazione.

La donna dovrà essere citata con un difensore e in quell’occasione potrà avvalersi della facoltà di non rispondere. Non si tratta del primo caso in questo processo: già a dicembre le difese avevano indicato come indagabili due testi, in merito ad uno dei quali la Corte si è riservata. La pm, a fine dicembre, ha rinunciato con una mossa a sorpresa a quella testimonianza. Che però potrebbe comunque esserci, dal momento che quel nome compare anche nella lista testi di alcune difese. Toccherà a loro scegliere se ascoltarlo o meno. Solo a quel punto la Corte dovrà stabilire se dovrà presentarsi in aula accompagnato da un avvocato.