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Ancora contraddizioni nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Venerdì 4 ottobre in aula è stato il turno dell’avvocata Maria Montepaone, che ha assistito il padre della minore che ha chiamato i carabinieri dopo essere stata lasciata da sola a casa, evento al seguito del quale la bambina è stata data in affido. La legale, rispondendo alle domande dell’avvocato di parte civile, ha dichiarato che i genitori per mesi non hanno visto né avuto notizie della figlia dopo l’allontanamento. Una circostanza smentita dalle chat depositate a processo, dalle quali risulta che la prima telefonata protetta tra padre e figlia è stata effettuata 15 giorni dopo l’allontanamento. Ma i genitori avevano incontrato i servizi sociali anche prima di questa telefonata, mentre gli incontri protetti sono iniziati tra settembre e ottobre del 2016, due mesi dopo l’allontanamento, come confermato infine dalla stessa legale. I due genitori, d’altronde, avevano dichiarato, in fase di separazione giudiziale, con quale frequenza incontravano la figlia: una volta ogni due settimane la madre e una volta al mese il padre. Padre che era spesso fuori per lavoro con trasferte all’estero per lunghi periodi. L’uomo aveva dichiarato che per un periodo, nella primavera del 2017, non aveva incontrato la figlia, circostanza smentita dai documenti depositati dalle difese, che dimostrano la continuità degli incontri tra marzo e luglio di quell’anno. E i servizi sociali, come ammesso dalla stessa avvocata, avevano consegnato un calendario degli incontri protetti da fare sia a settembre che a ottobre 2017.
La teste ha confermato che il padre aveva detto una bugia alla figlia, ovvero di essere autorizzato ad andare a trovarla in ospedale a seguito di un ricovero. Una bugia che aveva generato disagio nella bambina.
Montepaone ha negato di conoscere alcune circostanze che l’uomo ha invece raccontato al ctu Giuseppe Bresciani, come il fatto che la moglie si prostituisse, picchiasse la bambina e la lasciasse da sola o con terzi in sua assenza. Ma non solo: la teste ha dichiarato di essere stata sentita per circa un’ora dai carabinieri prima del blitz Angeli e Demoni, carabinieri che le avevano mostrato il diario della minore e chiesto di fornire le chat con Francesco Monopoli, uno degli assistenti sociali a processo (difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro), invitandola a mantenere il riserbo sulle dichiarazioni rilasciate. Montepaone, una volta a casa, avrebbe recuperato e inviato via mail le chat ai militari, ma nel fascicolo non c’è traccia né di un verbale di eventuali sit né dell’invio tramite mail da parte dell’avvocato del padre della chat che il legale aveva intrattenuto con l’assistente sociale per organizzare gli incontri con la bambina. Al termine dell’audizione Sambataro ha contestato la violazione del diritto di difesa, data l’assenza degli atti nel fascicolo, sollevando la questione di nullità dell’avviso di conclusione delle indagini e degli atti susseguenti. Il collegio ha però respinto la richiesta, dichiarando che non è dato sapere se quel materiale sarebbe stato utile alle difese.
Sempre venerdì 4 ottobre è stato sentito il fratello del padre della minore, che si è detto all’oscuro del fatto che la cognata avesse un’attività lavorativa. Aggiungendo che solo occasionalmente la bambina veniva accompagnata a casa sua, e più spesso era accompagnata dalla nonna della minore. L’uomo ha dichiarato inoltre che le trasferte del fratello erano terminate da soli due anni, e quindi nel 2022, contrariamente a quanto affermato dal padre della minore alla sua avvocata, alla quale aveva fornito come data il 2017. L’uomo ha infine negato che ci fossero conflitti tra il fratello e la moglie, cosa invece documentata da reciproche accuse e persino denunce.
Nella giornata di lunedì - giorno in cui la Corte ha respinto la questione di legittimità in merito all’abolizione dell’abuso d’ufficio - è stato ascoltato anche un maresciallo che ha raccolto la querela presentata dall’ex responsabile dei servizi sociali Federica Anghinolfi (difesa da Oliviero Mazza e Rossella Ognibene), in qualità di procuratrice speciale del presidente dell’Unione della Val d’Enza, querela per un comportamento ritenuto diffamatorio nei confronti del Servizio sociale e posto in essere in una sala pubblica dal nonno di una bambina coinvolta nel caso: Anghinolfi è accusata di calunnia in quanto la querela riporta alcuni errori di battitura che stravolgono il senso della vicenda. Le insegnanti avevano comunicato al Servizio sociale di quando il nonno, durante la recita dei bambini della scuola frequentata dalla nipote, aveva accusato i Servizi di aver rapito la bambina, episodio che aveva anche provocato il pianto dei bambini presenti. Venuta a conoscenza di questo episodio e della condotta addebitata dal nonno al Servizio sociale, Anghinolfi aveva interessato del caso il presidente dell’Unione Val d’Enza che era anche il tutore della bambina in questione. Il presidente aveva dunque incaricato Anghinolfi di presentare a nome dell’Ente pubblico la querela per fatti che danneggiavano il buon nome del Servizio sociale. Stando alla querela, però, Anghinolfi avrebbe accusato il nonno di voler rapire la minore. In aula il maresciallo ha confermato che l’ex responsabile del Servizio sociale si era però recata in caserma per presentare la querela per ipotesi di diffamazione e non per altre ragioni. Il maresciallo ha anche riconosciuto i documenti allegati alla querela di Anghinolfi che erano molto chiari su quelli che erano i fatti accaduti. Tant’è che la stessa comunicazione di notizia di reato riportava come titolo di reato la diffamazione. Il tutto era già stato spiegato dalla dottoressa Anghinolfi in sede di interrogatorio con il pubblico ministero Valentina Salvi, che aveva avanzato richiesta di archiviazione evidenziando l’errore materiale nella stesura della querela. Il nonno ha però presentato opposizione, facendo così aprire il procedimento per calunnia.