Non è imputabile al revisore contabile il concorso omissivo nei reati di bancarotta e di falso in bilancio commessi dagli amministratori e dai sindaci della società fallita.

È stata pubblicata nei giorni scorsi la sentenza con cui la Quinta sezione penale della Cassazione, presidente Rosa Pezzuto, relatore Elisabetta Maria Morosini, aveva annullato, senza rinvio, la condanna ( l'unica del suo genere) pronunciata dalla Corte d’appello di Milano nei confronti di Antonio Carnevali e Francesca Novati. I due erano i revisori della Torno Global Contracting spa, società di costruzioni fallita nel 2010, con un buco di oltre 100 milioni di euro.

Tale enorme passivo, secondo la Procura di Milano, si sarebbe però potuto evitare se già nel 2005 fossero stati portati i libri in tribunale.

I revisori, per l’accusa, sarebbero stati infatti a conoscenza degli “escamotage” contabili per scongiurarne il dissesto.

Condannati in primo e secondo grado a tre anni e sei mesi di carcere, i revisori avrebbero dunque avuto un obbligo di tipo “impeditivo”.

I difensori di Carnevali e Novati, gli avvocati Lucio Lucia, Vittorio Manes e Giovanni Ponti, nel ricorso avevano evidenziato che l’eventuale responsabilità dei revisori nei reati “propri”, quelli che possono essere commessi solo dai sindaci e dai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, è tassativamente individuata dalla legge.

Pertanto è necessario, da parte dei revisori, un loro concreto contribuito e non invece una condotta omissiva.

In caso contrario ci sarebbe stata una interpretazione estensiva ' in malam partem”, vietata dalla legge, e di conseguenza una interpretazione giurisprudenziale contestuale formulazione di una nuova ipotesi di reato.

Il revisore, in altre parole, ha l'obbligo di fare delle verifiche sulla correttezza o meno del bilancio ma non può comunque impedire l'approvazione di un bilancio non veritiero da parte dell'assemblea dei soci.

Per quanto concerne, poi, un eventuale concorso nel reato, quest’ultimo non può passare attraverso «una non consentita combinazione di altre norme incriminatrici, foriera di inammissibili scorciatoie probatorie», sottolinea la Cassazione.

«Si tratta di una pronuncia che fa chiarezza sui profili di responsabilità dei professionisti», afferma Manes, ordinario di diritto penale a Bologna.

«La Cassazione, con grande rigore, ha riaffermato i principi di legalità e tipicità del reato, che sarebbero venuti meno se fosse stato applicato il reato di bancarotta societaria a soggetti che non hanno i poteri e i doveri di chi svolge compiti di gestione, come gli amministratori, o di controllo interno, come i sindaci».

«Ai revisori si potranno contestare solo le fattispecie di falso ad essi tassativamente riferite, ma non altri reati riferibili invece a soggetti interni alla gestione o al controllo dell’impresa», ha quindi aggiunto Manes.

La Procura generale della Cassazione aveva chiesto che i ricorsi fossero dichiarati inammissibili.