Niente intesa tra il capo grillino e il premier, che sale al Colle e avvisa: «Così viene meno il patto di maggioranza»

Mentre Kiev e Mosca provano a trattare, a trovare una via d’uscita dalla guerra, la crisi ucraina deflagra in Italia.

Va infatti a vuoto l’incontro tra Draghi e Conte sull’aumento delle spese militari chiesto dall’ex presidente Bce. Il leader 5Stelle ribadisce il no all’aumento di fondi e Draghi sale al Colle dopo aver fatto sapere che la maggioranza è a rischio.

Durissimo Renzi: «Draghi è uno statista, Conte è un populista. Noi stiamo con Draghi, noi stiamo con l’Italia» LA GUERRA IN UCRAINA ESASPERA LE DIVISIONI NEL GOVERNO

Il leader M5S conferma al premier la propria contrarietà all’aumento delle spese militari. E l’ex Bce va da Mattarella: «Non possono essere messi in discussione gli impegni assunti »

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è salito ieri sera al Quirinale per un colloquio con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, dopo che l’incontro del pomeriggio a palazzo Chigi con il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, aveva messo in evidenza tutte le diversità di vedute tra i grillini e il resto della maggioranza sulla questione armi e non solo.

Il faccia a faccia tra l’attuale capo del governo e il suo predecessore ha avuto tratti drammatici, con tanto di comunicato dello staff di palazzo Chigi. «Il bilancio della difesa nel 2018 era sostanzialmente uguale al 2008 si legge nella nota - Nel 2018 si registravano circa 21 miliardi di euro, nel 2021 24,6 miliardi ( un aumento del 17 per cento)». Specificando che «questi sono i dati del ministero della Difesa nei governi Conte» e che «tra il 2021 e il 2022 il bilancio della difesa sale invece a 26 miliardi, un aumento del 5,6 per cento».

Una presa di posizione che ha fatto seguito a quanto Draghi ha detto al neo presidente M5S, cioè che «il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato sull’aumento delle spese militari al 2 per cento del Pil».

E soprattutto, che «non possono essere messi in discussione gli impegni assunti, in un momento così delicato alle porte dell’Europa» perché «se ciò avvenisse verrebbe meno il patto che tiene in piedi la maggioranza».

D’altronde, quando a metà pomeriggio Conte ha varcato il portone di palazzo Chigi, la bagarre era già scoppiata. Dove per bagarre s’intende la richiesta di voto da parte di M5S e Leu sull’ordine del giorno di Fratelli d’Italia che impegna il governo a rispettare l’accordo sottoscritto nel 2014, accolto senza riformulazione dal governo. Una mossa, quella dell’esecutivo, definita «inaccettabile» dai grillini.

Dopo il tête á tête con l’ex presidente della Bce, il leader M5S aveva spiegato che «il Movimento non è contrario a sviluppare il pilastro della difesa comune europea, ma va fatto in un quadro meditato e ponderato» e che questa «è una strategia complicata che non si può realizzare nel giro di qualche mese». Per poi rispondere, a chi gli chiedeva se nel Def ci sarà anche l’aumento delle spese militari, che «ragionevolmente non ci sarà scritto qualcosa del genere, ma questo non toglie che è una prospettiva che dobbiamo affrontare» anche se «l’aumento delle spese militari ora è qualcosa di improvvido».

Nella mischia si butta anche Renzi, che a frittata ormai fatta scrive sui social che «Draghi è uno statista, Conte è un populista» e che Italia viva «sta con Draghi».

Tutto era iniziato nelle stanze di palazzo Madama, con la volontà di M5S e Leu di arrivare a una resa dei conti in maggioranza attraverso il voto in commissione congiunta Difesa e Esteri. Richiesta che ha scatenato «una baraonda», a detta del capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Luca Ciriani, tanto che lo stesso esponente di Fd’I si è detto «curioso» di sapere come si comporteranno i due partiti al momento del voto di fiducia sul decreto Ucraina.

Poco prima era stato Conte a dire che «il decreto Ucraina non c’entra nulla con la corsa al riarmo e per questo il Movimento lo voterà in Senato, con o senza fiducia», ma sul tema pesa anche la distanza tra dem e grillini.

«Noi comprendiamo l’esigenza dei partiti di marcare alcuni punti ma questo non può essere fatto mettendo in difficoltà il governo», ha ragionato infatti il senatore dem Alessandro Alfieri, rivelando anche che nella riunione di maggioranza di lunedì sera con il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, il Pd aveva proposto di presentare un odg di maggioranza «proprio per dire che c’era la disponibilità a discutere di gradualità nell’aumento delle spese della difesa e farle nell’ambito della costruzione della difesa comune europea». Ricevendo però il nein dei 5 Stelle, che così facendo per Alfieri hanno «perso un’occasione».

All’esponente dem ha risposto direttamente Conte, dicendo che «dispiace che sul tema delle spese militari non ci troviamo sulla stessa posizione». L’ex presidente del Consiglio ha poi lanciato anche un aut aut sul futuro dell’alleanza riguardo a diversi temi, come il salario minimo. «Se il Pd sarà al nostro fianco ci farà molto piacere - ha scandito - altrimenti ne prenderemo atto». A proposito di “prese d’atto”, quel che è certo è che il segretario del Pd, Enrico Letta, ha seguito passo passo l’alterco tra Conte e Draghi, tanto da far filtrare «preoccupazione» negli stessi momenti della salita al Colle del presidente del Consiglio. In ogni caso oggi riprende la discussione in Senato, mentre domani è previsto il voto finale. O meglio, la resa dei conti.