I numerosi contenziosi che si aprono in materia di responsabilità medica molto spesso finiscono su un binario morto. Le denunce per casi di malasanità hanno come esito, il più delle volte, l’assoluzione del medico. Si tratta di un tema dal grosso impatto sociale ed economico, che riguarda il funzionamento della giustizia, con l’intasamento dei Tribunali, e mette al centro chi deve affrontare un procedimento giudiziario: primi fra tutti i medici.

Questi ultimi spesso vengono sbattuti in prima pagina sui giornali e sui telegiornali, perché ritenuti protagonisti di errori. Vicende che distruggono la vita privata e lavorativa del professionista, per non parlare della gogna mediatica che trova una sponda pure nelle “piazze” dei social. «Prima di risolvere tutte le questioni giudiziarie e accantonare definitivamente la mia vicenda giudiziaria – confida al Dubbio un medico che vuole restare anonimo – ho dovuto attendere oltre dieci anni. Tanto ci è voluto per tagliare il fatidico traguardo del giudizio definitivo davanti al Tribunale. In molti mi hanno considerato un professionista poco attento, per non dire poco capace. Anni di studio e di sacrifici offuscati da una vicenda che prima di essere chiarita ha richiesto tempo e danaro».

Considerazioni amare condivise da Musa Awad, consigliere dell'Ordine dei Medici di Roma, impegnato pochi giorni fa nella presentazione, in Campidoglio, del “Rapporto 2021 sui conflitti e sulla conciliazione” pubblicato da Maggioli Editore in collaborazione con l’Istituto regionale di Studi Giuridici del Lazio “Arturo Carlo Jemolo”. «Le controversie in medicina sono tante – commenta Awad -, ma l'85% delle presunte denunce per casi di malasanità finisce in una assoluzione per il medico. Come Ordine dei Medici abbiamo tutto l'interesse a ridurre le controversie e a cercare di chiuderle attraverso la conciliazione, senza arrivare in Tribunale. Già nel 2005, in tempi non sospetti e prima del legislatore, abbiamo istituito presso l'Ordine dei Medici di Roma lo sportello “Accordia”, una sorta di organismo di conciliazione fra le parti, medici e cittadini, proprio per risolvere le controversie. Siamo stati inoltre tra i primi a partecipare all'Osservatorio della conciliazione del Tribunale di Roma».

Qualcosa per i medici che incappano in vicende giudiziarie potrebbe però cambiare, come ha riferito in una intervista al “Messaggero” il ministro della Salute, Orazio Schillaci. Chiaro il messaggio del responsabile delle politiche sanitarie: depenalizzare gli errori medici, ad esclusione del dolo, e porre argine alla cosiddetta medicina difensiva (si veda anche Il Dubbio del 28 marzo scorso). «Dai dati che abbiamo – afferma Schillaci - gran parte delle cause giudiziarie contro i medici finiscono in un nulla di fatto, nell’assoluzione. Per questo va depenalizzato il reato. E poi la medicina difensiva è un male. Porta i medici a prescrivere troppi esami, ingolfa le strutture, aumenta le liste di attesa. E le dico da medico: confonde anche il medico curante che da tanti, troppi, accertamenti deve trarre le conclusioni. Bisogna prescrivere a ciascuno solo gli esami di cui il paziente ha realmente il bisogno».

Predica equilibrio Alberto Michele Cisterna, presidente della Tredicesima Sezione civile del Tribunale di Roma, dove operano sedici magistrati impegnati in via esclusiva in materia di responsabilità professionale. In tale ambito, la responsabilità sanitaria è prevalente con circa l’85% del totale dei casi. «La sindrome da denuncia da parte dei pazienti o dei loro familiari – sottolinea Cisterna - è un dato di fatto. Tante volte si getta discredito sulla sanità per cui le parti sono sempre convinte che sia successo qualcosa o che qualcosa sia andato storto per colpa di qualcuno. Tutto ciò avviene per una sorta di pregiudizio, per una percezione non tranquillizzante del modo in cui la sanità funziona. Tale situazione genera denunce ed esposti, che si indirizzano verso la Procura della Repubblica con la necessità di provvedere. Si tenga presente che la legge Cartabia ha dato una svolta, perché impone per l’iscrizione di un cittadino nel registro delle notizie di reato una soglia di elementi indiziari particolarmente qualificata. Non è più una iscrizione che si effettua automaticamente. Imporrebbe e impone una vigilanza da parte del pubblico ministero e una certa attenzione nell’individuare non già intere filiere di soggetti responsabili, come accaduto tante volte, ma di selezionare l’iscrizione nei confronti di soggetti che effettivamente appaiono attinti da elementi meritevoli di accertamento».

La normativa vigente ha avuto un impatto sulla riduzione dei contenziosi. «Bisogna dare atto – commenta il magistrato del Tribunale di Roma - che con la legge Gelli il numero di cause che vengono introdotte nei confronti dei medici è sceso vertiginosamente. Per le prestazioni rese nell’ambito di strutture complesse, ospedali, cliniche o presidii, le cause contro i sanitari sono pochissime. I danneggiati prendono ormai in considerazione direttamente la struttura e questo ha portato ad un decremento notevole delle cause. Lo studio di Eurispes pone l’attenzione sugli accertamenti svolti, che riguardano i medici, le strutture e le specializzazioni. Una ricerca che non riguarda tutte le cause di responsabilità professionale sanitaria, ma soltanto gli accertamenti svolti in via preventiva».

Sulla presa di posizione del ministro della Salute, Cisterna riflette in maniera approfondita: «Il tema dell’abolizione del reato colposo è molto delicato, nel senso che vorrebbe dire escludere le fattispecie colpose delle lesioni e dell’omicidio in relazione ad atti sanitari. Si tratta di fare una scelta politica estremamente onerosa. Comporta che anche di fronte a fatti di negligenza molto grave il reato non ci sia. Facciamo l’esempio del chirurgo che entra in sala operatoria ubriaco. In tal caso potremmo ravvisare una colpa, una negligenza, ma manca il dolo. Dovremmo poi ragionare se c’è un dolo eventuale. Si tratta di capire se si intende circoscrivere la responsabilità penale alla sola colpa grave. Su questo è già intervenuta la legge Gelli».

Il legislatore fa le leggi, il magistrato le applica. «Non mi permetto di sindacare – conclude Cisterna - sulle scelte del legislatore. La condanna del medico gravemente negligente è una necessità pubblica, non riguarda il solo paziente, ma attiene anche al fatto che occorre perseguire soggetti in grado di fare danni. Immagino che la proposta del ministro vada nel senso di circoscrivere la responsabilità penale colposa ai soli casi di colpa grave. Imprudenza, imperizia e negligenza sono tre elementi che, se espressi a livello grave, hanno un costo sociale che non si può aggirare».