Si conclude oggi il IV Congresso di AreaDg, la corrente progressista dell’Anm, dal titolo “Il ruolo della giurisdizione all’epoca del maggioritarismo”. Dopo due giorni di intenso dibattito politico con esponenti del Partito democratico, del Movimento 5 Stelle, e con il ministro della Giustizia Nordio ed esponenti dell’avvocatura, oggi l’attenzione si è spostata sul futuro della dirigenza, considerato che l’attuale segretario Eugenio Albamonte termina i suoi quattro anni di mandato.

I candidati al coordinamento nazionale sono: Marco Picco (tribunale di Torino), Mimmo Ruppa (Tribunale di Bologna), Luca Minniti (Tribunale di Firenze ), Giuseppe Sepe (Tribunale di Napoli), Giovanni Zaccaro, detto Ciccio (Tribunale di Bari), Claudio Gittardi (procuratore a Monza), Andrea Vacca (procura di Cagliari), Costantino de Robbio (Tribunale di Roma), Egle Pilla (Cassazione), Daniela Galazzi (Tribunale Palermo), Graziella Viscomi (procura di Palermo), Antonella Marrone (Tribunale di Pesaro) e Barbara Benzi (procura di Milano).

A fine ottobre, in modalità online, verranno eletti i sette del Coordinamento nazionale con quota di genere (quattro donne e tre uomini, o il contrario), poi all’interno dei sette si eleggerà un segretario e un presidente, potendo esprimere quattro preferenze. Su 13 candidati, nove sono giudici. Probabilmente il prossimo segretario sarà un giudice, in una sorte di alternanza tra pubblici ministeri e giudici stessi, considerato che prima di Albamonte a dirigere AreaDG c’era Cristina Ornano, del Tribunale di Cagliari (Maurizio Carbone presidente).

Il favorito per sostituire il pm romano sarebbe Giovanni Zaccaro, dal 2014 al Tribunale di Bari, ed ex membro del Consiglio superiore della magistratura nella precedente consiliatura.

Ecco la mozione approvata all’unanimità dal IV Congresso Nazionale di Area Democratica per la giustizia: 

Nell’epoca del maggioritarismo il ruolo della giurisdizione viene messo sempre più in discussione; anche in Italia, così come già altrove, si registrano segnali di insofferenza delle forze di Governo nei confronti delle istituzioni di garanzia; il nodo centrale è costituito dall'attacco portato alla giurisdizione ed ai diritti, tanto a quelli che consideravamo già acquisiti quanto a quelli emergenti. Viene così messa in discussione la salvaguardia dei diritti civili e politici, del lavoro, della libertà di informazione, degli stranieri e dei migranti, del principio di indipendenza interna ed esterna della magistratura.

Quel che più ci preoccupa, tuttavia, è l'attacco portato alla giurisdizione: diversi sono i segnali che indicano la volontà di ridimensionare il potere giudiziario quale strumento di controllo della legalità del Paese, di tutela dei diritti, di contrasto ai fenomeni illegali. Si pretende di sostituire il riferimento costituzionale che guida l'interpretazione con il sentimento diffuso nel Paese, rispetto al quale la maggioranza si propone interprete; si mette in discussione la stessa libertà di associazione e di manifestazione del pensiero dei magistrati, utilizzando strumentalmente il richiamo al dovere di terzietà e brandendo la minaccia disciplinare.

Il clima generale è di grande diffidenza nei confronti della giurisdizione e della tutela dei diritti, anche a causa della debolezza della politica, che ha comportato una supplenza del mondo giudiziario, chiamato a dare risposte dove la prima non è stata capace di darne, con conseguente ed inevitabile alterazione degli equilibri fra i poteri, ma anche crisi di identità della stessa magistratura.

Viene poi agitato il mantra della “separazione delle carriere” come panacea di tutti i mali, intendendo in realtà alterare gli equilibri democratici definiti dalla Costituzione ed abbandonare il principio di obbligatorietà dell’azione penale, con il rischio di derive securitarie e di compromissione del principio di indipendenza della magistratura e di conseguenza di uguaglianza dei cittadini. La Costituzione, infatti, garantisce che i magistrati si distinguano solo per funzioni, ma facciano parte di un unico ordine: solo così è assicurato che lo stesso PM sia il primo garante dei diritti dei cittadini, proprio perché disinteressato rispetto al risultato del processo.

Registriamo invece segnali di estrema preoccupazione per la crescente gerarchizzazione negli uffici, anche quelli giudicanti. Il rischio è quello della burocratizzazione della funzione, del conformismo acritico rispetto al precedente giurisprudenziale, della deresponsabilizzazione del magistrato anche per la preoccupazione derivante dalla proliferazione di illeciti disciplinari funzionali.

Va detto, peraltro, che questa forte spinta al ridimensionamento del ruolo e della funzione della giurisdizione coglie la magistratura in una fase di debolezza, determinata da carichi di lavoro ingovernabili e crescenti, da carenze

di persone e mezzi, dalla frustrazione determinata dai tempi lunghi e dalla scarsa effettività delle decisioni: ma l’efficienza della giurisdizione non equivale ad efficientismo, pena la perdita di attenzione sulla qualità. Chiediamo allora a gran voce anche risorse umane e materiali, maggiore attenzione all’organizzazione degli uffici, alla loro effettiva digitalizzazione, perché solo così saremo in grado di offrire le risposte che da noi sono attese.

Siamo anche preoccupati dal fatto che il Consiglio Superiore della Magistratura si avvii ad essere governato da un blocco di voti portatore di una unica identità culturale. Anche qui paiono prevalere logiche maggioritarie, tutte volte a orientare le scelte di alta amministrazione e di politica giudiziaria in un’unica direzione, che rischia di assecondare le spinte messe in atto dalla maggioranza politica di governo verso la trasformazione irreversibile del ruolo costituzionale della giurisdizione.

Il compito che ci attende è allora quello di coltivare la cultura del nostro ruolo e delle nostre funzioni per come sono state disegnate dalla Costituzione, al servizio dei diritti e dei cittadini, quello di continuare con coraggio nella attività di interpretazione e applicazione del diritto, con competenza e professionalità, senza auto censurarci per compiacere il sentimento maggioritario o per timore di essere investiti da campagne mediatiche di delegittimazione.