«La risposta alle sfide odierne dovrebbe basarsi sullo Stato di diritto, sul miglioramento e sul consolidamento della buona governance nell’Ue e sulla difesa dei nostri valori condivisi, dei diritti e delle libertà fondamentali». Questa frase è stata estrapolata dal programma della presidenza belga del Consiglio dell'Ue, che durerà dal primo gennaio al 30 giugno 2024. Una sfida ambiziosa, che però mal si concilia con quanto visto, fino ad oggi, proprio in tema di giustizia, in quella che è stata definita la più grande indagine per corruzione della storia europea: il Qatargate. Un anno dopo la sua esplosione, dell’indagine sembrano rimanere brandelli. Pezzetti che parte della stampa tenta di tenere cuciti, con fughe di notizie apparse ai più come programmate e tollerate dagli inquirenti - al contrario di quelle che hanno rivelato le violazioni del diritto europeo -, mentre venivano volutamente ignorate le palesi forzature da parte della giustizia belga. In primis l’impiego dei servizi segreti, che hanno potuto perfino entrare nel Parlamento in borghese per “spiare” le Commissioni parlamentari, appostarsi davanti la casa di parlamentari coperti da immunità e ascoltare le loro telefonate. Senza contare le torture - così definite dagli stessi protagonisti della vicenda - subite in carcere e le intrusioni nell’attività difensiva dei legali impegnati in questa intricata vicenda. Insomma, il semestre belga vuole rimettere al centro lo Stato di diritto e i valori europei.

Quegli stessi valori che secondo Giuliano Pisapia, vicepresidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, sarebbero stati «brutalmente aggrediti» da una vera e propria attività di dossieraggio messa in atto dai servizi segreti, come rivelato dal Dubbio. «Il “Qatargate”, e l’attività condotta dalla polizia e dai servizi belgi in occasione delle indagini - scriveva l’ex sindaco di Milano sulle colonne di questo giornale - altro non sono stati che un insieme di violazioni dei principi fondanti del diritto e dei diritti individuali e collettivi». Se non bastasse l’intrusione degli 007 nell’emiciclo a testimoniare questo fatto allora si possono fare altri esempi: la confessione estorta - secondo i suoi legali - al maxipentito di questa inchiesta, Antonio Panzeri, che curiosamente è anche il principale indagato; le minacce a Francesco Giorgi, che fu suo assistente, al quale in carcere chiesero di accusare la moglie, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, pena veder crescere la figlia da dietro le sbarre; e le pressioni sulla stessa Kaili, invitata ad accusare i colleghi, sotto la minaccia di vedere affidata la figlia ai servizi sociali. Il tutto mentre il principale accusatore, il giudice istruttore Michel Claise, nascondeva pagando la cosa con l’addio alle indagini - i propri rapporti con l’eurodeputata Maria Arena, il cui nome, ricorrente nelle carte dei servizi segreti, è stato tenuto fuori dall’inchiesta fino a quando è stato possibile.

L’indagine, vista da quaggiù, sembra sempre più una pantomima: nata per scoprire l’evasione fiscale compiuta da Pier Antonio Panzeri, è diventata, come per magia, un’inchiesta per corruzione. E ciò pur non essendo perseguiti i corruttori, nei cui confronti, nel frattempo, sono state deposte le armi: il Belgio ha infatti rinunciato al proprio mandato di cattura nei confronti del ministro del Lavoro del Qatar Ali bin Samikh al- Marri, da quando il Qatar si è detto pronto a intercedere per il rilascio degli europei detenuti in Iran, tra cui l'operatore umanitario belga Olivier Vandecasteele. Insomma, tutto perdonato. Ma solo in un senso: gli indagati europei rimangono ancora sulla graticola, pur mancando la prova dello stesso reato. Chissà se ora che il Belgio prenderà il timone Kaili riceverà finalmente una risposta alla richiesta formulata ormai sei mesi fa: valutare una possibile violazione della sua immunità parlamentare, «essendo stata monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui ha partecipato alla commissione Pegasus, che stava indagando istituzionalmente sull’esistenza di software illegali che monitoravano le attività di eurodeputati e dei cittadini dell’Unione europea».

Una risposta fondamentale, perché chiarirebbe se e come l’istituzione europea sia stata messa in pericolo. La politica, finora, ha preferito tacere, imbarazzata, forse, dal trattamento riservato a Kaili. La vicenda non ha avuto ancora alcun esito, ma i giornalisti del Le Soir, intanto, hanno già pronto un libro sull’inchiesta, che pretenderà di raccontare la verità su fatti ancora del tutto oscuri. Gli editori europei, a quanto è dato sapere, hanno deciso di non partecipare all’affare: l’editore, dunque, sarà americano. E magari, domani, ci sarà materiale per una serie Netflix. Senza giudizio, senza prove, senza contraddittorio. Lo Stato di diritto, ha ragione il Belgio, deve senz’altro tornare al centro della politica.