IL MEDICO

Arrestato nel 2016, per Teheran sarebbe un agente del Mossad

Una vera e propria corsa contro il tempo quella per fermare l’esecuzione di Ahmadreza Djalali, il medico e ricercatore con doppia nazionalità iraniana e svedese, incarcerato e condannato a morte per una presunta opera di spionaggio per conto di Israele.

Era stata, ieri, la moglie dell’accademico, Vida Mehrannia, a riferire la comunicazione giunta da Teheran: l’uomo sarebbe dovuto essere trasferito dalla prigione di Evin, a nord della capitale iraniana, a Rajai Shahr di Karaj dove solitamente vengono eseguite le condanne a morte, quasi sempre il mercoledì. Un viaggio senza ritorno che però al momento sembra essere stato interrotto. Secondo Noury di Amnesty International «l'ufficio per l'attuazione delle sentenze ha detto che è arrivato un ordine superiore secondo il quale per i prossimi giorni l'esecuzione è sospesa». Le diplomazie, a quanto si evince dalle pur scarne notizie, sarebbero ancora al lavoro per scongiurare l’irreparabile.

Intorno al caso esiste poi una campagna internazionale per bloccare la sentenza di morte, alcune prese di posizione sono giunte anche dall’Italia dove Djavali ha lavorato anni fa nel campo della medicina dei disastri. L’ambasciata italiana a Teheran infatti si è messa al lavoro insieme ai diplomatici svedesi per chiedere un gesto di clemenza al regime sciita. Sulla stessa linea sono intervenuti anche il presidente del Parlamento dell’Unione Europea David Sassoli e il presidente della Commissione Esteri della Camera Piero Fassino. La vicenda Djalali cade in concomitanza con l’uccisione dello scienziato iraniano Fakhrizadeh pochi giorni fa, Teheran ha subito appuntato le sue accuse verso Israele e potrebbe strumentalizzare la condanna del ricercatore per un tornaconto politico. In questo senso possono essere lette le parole sull’account dell’ambasciata iraniana a Roma ieri: «Chi ha martirizzato