In ambito sportivo, nel calcio in particolare, si ricorre in certi casi a un’espressione sintetica e illuminante: “Fallo di confusione”. Si usa quando un arbitro giudica punibile un’azione in cui non si riesce a individuare in realtà una specifica azione scorretta, ma solo un certo indecifrabile affollamento, in genere nell’area di rigore.
Ecco, nei confronti di Carlo Nordio, ministro della Giustizia, è in corso un attacco alla cieca da parte delle opposizioni. Pd, Movimento 5 Stelle, +Europa, Alleanza Verdi e Sinistra: non manca nessuno. Motivo: una presunta ma non meglio precisata leggerezza nella vicenda di Artem Uss.
Il 40enne imprenditore russo figlio del governatore siberiano Alexander Uss, vicino Vladimir Putin, è evaso lo scorso 22 marzo dai domiciliari, scontati fino a quel momento in un’abitazione di proprietà della moglie a Basiglio, nei pressi di Milano. Quale sarebbe il peccato, il “fallo” commesso appunto dal guardasigilli nella confusa vicenda? Aver replicato a una lettera ricevuta lo scorso 29 novembre dal dipartimento della Giustizia statunitense, in cui Washington aveva espresso “preoccupazioni” per il rischio che Uss potesse fuggire.

A imporne l’arresto, il 17 ottobre a Malpensa, era stata l’accusa, avanzata dagli Stati Uniti, di violazione dell’embargo inflitto al Venezuela e riciclaggio del petrolio estratto nel Paese sudamericano. In base a tali ipotesi, gli Usa avevano trasmesso all’Italia una richiesta di estradizione. Ma in realtà Nordio si è trovato nella sgradevole condizione di dover gestire sollecitazioni indebite da parte degli Usa, alle quali ha replicato, in una propria missiva del 6 dicembre, non con superficialità, ma al limite con estrema diplomazia.

Fosse stato meno dialogante, il guardasigilli italiano avrebbe potuto rispondere infatti che le preoccupazioni per una fuga di Uss dalla tenaglia americana erano inutili, giacché, come riportato ieri dal Corriere della Sera, nei confronti dell’imprenditore russo gravava una precedente richiesta di estradizione trasmessa all’Italia dalla Russia il 9 novembre. E in base alle Convenzioni internazionali, non ci sarebbe stato alcuno spazio a disposizione di via Arenula per l’ipotesi di soddisfare le pretese di Washington anziché quelle avanzate da Mosca. Prima o poi il ministero della Giustizia italiano, che sulle estradizioni ha sempre e comunque l’ultima parola rispetto alla magistratura, non avrebbe potuto far altro che consegnare Uss alla madrepatria. Sia perché la richiesta russa era arrivata con due fatali giorni d’anticipo rispetto all’istanza americana, sia perché in casi controversi, quando una stessa persona è contemporaneamente accusata di reati commesso nel proprio Paese (è il caso di Uss, formalmente indagato in Russia per malversazione) e in un altro Stato, il governo che in qual momento ha il detenuto in custodia deve necessariamente consegnarlo appunto, al Paese d’origine.
Si potrà obiettare che l’imputazione contestata dalla giustizia russa all’imprenditore fosse un artifizio per sottrarre all’estradizione negli Usa il figlio di un’oligarca “caro” a Putin: ma Nordio non avrebbe potuto sindacare le scelte della magistratura di Mosca. E dunque in questa vicenda la sola ipotesi impercorribile sarebbe stata la consegna dell’imprenditore a Washington, che pure uno dei due collegi della Corte d’appello di Milano coinvolti nella questione aveva ordinato lo scorso 22 marzo. Poche ore prima che Uss evadesse dai domiciliari per fare ritorno in Russia.