Un’indagine conoscitiva per verificare l’efficacia dell’ultima riforma sull’abuso d’ufficio e ragionare, così, su quella che verrà. A proporla il deputato del Partito democratico Federico Gianassi, appoggiato dalla deputata grillina Valentina D’Orso, intenzionata ad ottenere anche un ciclo di audizioni con esperti giuristi. I due deputati partono, però, da due punti di vista leggermente diversi: il primo con un atteggiamento «laico» sulla possibilità di modificare ulteriormente l’articolo 323 del codice penale, la seconda convinta che non ci siano margini d’intervento.

La richiesta - che ora verrà presentata all’ufficio di presidenza - è stata avanzata il 29 marzo in Commissione giustizia alla Camera, dove sono state incardinati i disegni di legge sull’abuso d’ufficio. Quattro proposte - tre presentate da Forza Italia e una da Enrico Costa di Azione - che propongono soluzioni diverse alla cosiddetta “paura della firma” e alle richieste dell’Anci. E in attesa di un intervento del ministro Carlo Nordio, le forze di maggioranza si muovono in ordine sparso. A segnalarlo è stato sempre Gianassi, che ha sottolineato «la difficoltà di avviare una discussione su una tematica così delicata senza una posizione iniziale chiara né della maggioranza, né del governo e nemmeno dello stesso gruppo che propone la questione». A stranire la scelta di esaminare più proposte abbinate ma con finalità diverse, anche se tutte presentate da Forza Italia.

Nordio, ha ricordato Gianassi, «nel corso dell’audizione sulle linee programmatiche, aveva manifestato la volontà di abrogare quello che riteneva essere una fattispecie di reato evanescente, affermazione che adesso non si comprende se sia da imputare alla sua posizione personale o a quella collegiale del governo».

E per capire come sia poco chiara la situazione basta osservare le stesse proposte in gioco: alla Camera, infatti, il partito di Berlusconi ha optato per l’abrogazione del reato con i due ddl a firma Cristina Rossello e Pietro Pittalis, e per la modifica con la proposta Roberto Pella, che limita l’ambito di applicazione della fattispecie. A ciò si associa la proposta Costa, che ne prevede la depenalizzazione e la trasformazione in illecito amministrativo. In Senato c’è poi un’altra proposta, questa volta depositata dalla Lega e a prima firma Erika Stefani, praticamente sovrapponibile a quella di Pella: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato recita l’articolo -, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, omettendo di astenersi in presenza dell’interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità». Manca all’appello una proposta a firma Fratelli d’Italia. Nella quale prevale la linea morbida: l’idea è infatti quella di smussare l’articolo 323 del codice penale, così come chiarito al ministro Nordio dal sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove. Linea sulla quale si trova d’accordo la Lega, lasciando il ministro a condurre la battaglia per l’abrogazione da solo con FI. La strada sembra però segnata e la scelta degli azzurri di depositare proposte che lasciano spazio ad entrambe le opzioni in gioco sembra andare in questo senso. Una scelta che consentirebbe di trovare spiragli anche per una collaborazione dei dem, che non chiude totalmente le porte ad una modifica.

Il tema, ha infatti evidenziato Gianassi in Commissione, sta a cuore al Pd, secondo cui «sarebbe stato più opportuno procedere con un approccio sistematico, volto a ridimensionare l’esposizione del rischio a cui sono sottoposti amministratori pubblici e amministratori locali». Sarebbe necessario intervenire, dunque, su tre punti essenziali, sui quali anche il governo sarebbe d’accordo.

Ovvero su «alcuni profili di responsabilità che gravano sugli amministratori locali ai sensi dell’articolo 50 del Tuel, non essendosi nella prassi realizzato l’obiettivo del legislatore di differenziare nettamente la responsabilità del vertice politico rispetto all’apparato amministrativo» e sulla responsabilità erariale», mentre «sarebbe opportuno avviare un’indagine conoscitiva al fine di acquisire elementi utili rispetto agli effetti prodotti» dalla riforma del 2020 dell’abuso d’ufficio, «anche attraverso l’acquisizione di dati certi del ministero della Giustizia sulla sua applicazione concreta». Dati che anche il M5S vuole conoscere, ma partendo dalla convinzione che la riforma del 2020 «non sia più suscettibile di quella indeterminatezza che invece alcune forze politiche tuttora rilevano in senso critico». Da qui la contrarietà «ad intervenire sulla materia», così come sul traffico di influenze illecite, che Pittalis chiede di modificare. Un intervento, secondo D’Orso, che «potrebbe determinare effetti devastanti».