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I grillini non votano il decreto, che passa al Senato. Berlusconi: «Basta coi ricatti»
Il primo avviso di crisi a Mario Draghi arriva alla Camera, dove il Movimento 5 Stelle esce dall’Aula per non votare il dl Aiuti. Nulla di drammatico, per ora, solo un segnale inequivocabile al presidente del Consiglio che ancora deve dare ai grillini una risposta sui nove punti presentati da Giuseppe Conte la scorsa settimana. La rottura, al momento, è solo di facciata, visto che i pentastellati avevano già votato la fiducia sul decreto pochi giorni fa. I traumi veri potrebbero consumarsi però giovedì in Senato, dove è impossibile distinguere la fiducia al governo dal voto sul provvedimento. PER IL’AVVOCATOIL NON VOTO È UNA SCELTA DI «COERENZA».
PONTIERI A LAVORO PER EVITARE LO STRAPPO GIOVEDÌ AL SENATO
Il M5S esce dall’Aula al momento del voto. Berlusconi chiede una verifica di maggioranza e il capo del governo decide di andare da Mattarella
Il primo avviso di crisi a Mario Draghi arriva alla Camera, dove il Movimento 5 Stelle esce dall’Aula per non votare il dl Aiuti, che passa con 266 sì e 47 contrari. Nulla di drammatico, per ora, solo un segnale inequivocabile al presidente del Consiglio che ancora deve dare ai grillini una risposta sui nove punti presentati da Giuseppe Conte la scorsa settimana. La rottura, al momento, è dunque solo di facciata, visto che i pentastellati avevano già votato la fiducia sul decreto pochi giorni fa, ma tanto basta per convincere il presidente del Consiglio a salire al Quirinale per fare il punto della situazione con Sergio Mattarella. Più di un’ora di colloquio utile ad analizzare tutti i nodi ancora da sciogliere prima che il dl Aiuti arrivi, giovedì, al Senato, dove è impossibile distinguere la fiducia al governo dal voto sul provvedimento, come avvenuto a Montecitorio. Sarà in quell’occasione che ognuno dovrà scoprire le proprie carte. A Draghi l’incontro col presidente serve anche per drammatizzare il momento, per far capire ai grillini che altri incidenti comporteranno delle conseguenze concrete. Ma Conte, pressato dall’ala ortodossa, ha bisogno di tenere alta la tensione costantemente. E ieri ha deciso di mandare un messaggio al premier già a Montecitorio per ricordare che su reddito di cittadinanza, salario minimo, cuneo fiscale e sblocco dei crediti sul superbonus ( i punti sulla carta non sindacabili) non ha ancora ricevuto le garanzie richieste.
Così il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, è libero di annunciare in aula, nel corso delle dichiarazioni di voto, l’uscita dei deputati pentastellati dall’Aula.
«Ricordando che il nostro sostegno al governo è stato esplicitato col voto di fiducia, e che la scelta del voto di oggi è dettata da questioni puntuali, di metodo e di merito», dice l’esponente 5S. E «in coerenza con quanto già fatto in Consiglio dei ministri, pur rilevando l’utilità di parte delle misure, non valutando positivamente i metodi e ritenendo alcuni contenuti non coerenti con le finalità generali del provvedimento», il Movimento sceglie di non partecipare al voto. Tra i problemi di metodo: la presenza dell’inceneritore di Roma nel decreto inserito nonostante la contrarietà dei grillini. Ritenuti insufficienti anche i passi sul superbonus, tanto che Conte commenta serenamente: il non voto «era una decisione già chiara perché c’è una questione di merito per noi importante, lo avevamo già anticipato. C’è una questione di coerenza e linearità, quindi nulla di nuovo».
Non la pensano però come l’ex premier gli altri leader dei partiti di governo. A partire da Silvio Berlusconi, il più netto di tutti nel chiedere «una verifica della maggioranza» per