È da pochi giorni in libreria “La riforma della giustizia civile” ( ed. Cacucci, pagg. 368, euro 35), curato da Giorgio Costantino, già professore ordinario di Diritto processuale civile nell’Università Roma Tre dal 2005 e nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” dal 1980. «Il libro – dice al Dubbio Costantino - è dedicato alla memoria di Sergio Brescia, Antonio Rosa e Stefano Zan, di recente scomparsi. La dedica ha anche lo scopo di ricordare la prevalente rilevanza della organizzazione, della utilizzazione delle risorse disponibili rispetto alla revisione della disciplina processuale. Se la giustizia civile realizza risultati soddisfacenti in alcuni luoghi e non in altri, appare ragionevole supporre che il problema non risieda nella disciplina del processo, ma, appunto, nella organizzazione. L’attenzione alla normativa processuale non può far dimenticare questa premessa».

Professor Costantino, il suo è il primo libro dedicato ai recenti interventi legislativi nella giustizia civile. Uno studio che analizza prima di tutto la legge delega?

La legge delega ha consentito di acquisire i fondi Pnrr, lascia ampi spazi al delegato e apre un dibattito decisivo per la concreta realizzazione della riforma. Il libro offre un contributo in questa direzione. Alcune disposizioni sono analitiche, ma, per lo più, affidano al legislatore delegato le soluzioni. Se le norme di delega non saranno “chiare e specifiche” e non saranno riempite di contenuti specifici e le scelte operative saranno affidate agli interpreti, gli obiettivi della riforma di “razionalizzazione, semplificazione e speditezza” saranno frustrati. Con questo spirito, è stato accettato l’invito del direttore della Collana “Biblioteca di cultura giuridica” e dell’editore Cacucci di illustrare la legge delega.

Il suo libro apre un dibattito nell’accademia e tra gli avvocati. Con quali obiettivi?

Potrebbe essere l’occasione per aprire un dibattito sulle opzioni possibili per l’attuazione della riforma. In questo ambito, tuttavia, occorre prescindere da ogni valutazione sulle scelte della legge delega, né appare utile indicare, tra le diverse soluzioni possibili, quella più gradita. Si tratta di scelte politiche rimesse al legislatore delegato. Questi, però, dovrebbe essere consapevole delle strade che gli sono state aperte e dei valori sottesi alla scelta di ciascuna delle opzioni possibili. Questo è l’obiettivo perseguito nel lavoro comune, cominciato non appena la legge delega è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale: commentare le disposizioni di immediata applicazione, illustrare la legge delega, indicare le opzioni possibili per la sua attuazione. In questa prospettiva, nel lavoro di analisi della legge delega, alcuni autori si sono giovati dell’esperienza realizzata nel progetto «Giustizia 2030», promosso da Claudio Castelli, presidente della Corte di Appello di Brescia, che li ha impegnati per oltre un anno, prima che si aprisse questa nuova stagione di intense riforme. Altri hanno portato il contributo delle proprie ricerche nei settori esaminati.

Lei riflette sulla necessità di un costante confronto tra i protagonisti della giurisdizione… Nel contesto prima delineato di non discutere le scelte del legislatore delegante e di non prospettare come necessitata alcuna delle soluzioni possibili per il legislatore delegato, l’idea di fondo è che la Giustizia, con la maiuscola, può emergere soltanto dal confronto dialettico tra diverse posizioni, nel rispetto delle opinioni e della dignità di ciascuno. Non è “giusto” ciò che ciascuno può ritenere tale, ma il risultato del processo. È questo che deve essere “giusto” e deve garantire i diritti di ciascuna parte. L’esito può essere condiviso o contestato, ma questa valutazione, a processo concluso, non riguarda più il diritto e la giustizia. Riflette le opinioni e le scelte di valore di ciascuno, che ognuno deve avere il coraggio di esprimere come proprie.

Spesso si pensa alle riforme della giustizia come a delle occasioni per rassettare settori che frenano lo sviluppo, con prese di posizione qualunquiste e populiste anche in tema di nomine dirigenziali. Cosa ne pensa?

Nell’attuale concitata stagione di riforme si assiste alla prospettazione di soluzioni, che riflettono opzioni personali, presentate come assolutamente giuste e necessitate. Si può dubitare che tutte le nomine dei dirigenti degli uffici giudiziari siano frutto di malaffare, che tutti i capi degli uffici siano stati designati in base a un sistema corruttivo, che tutti gli uffici giudiziari siano diretti da persone inadatte allo svolgimento del compito loro affidato. Coloro che aspiravano alla nomina e sono stati preferiti ad altri possono ragionevolmente dolersi dell’esito, ma non è detto che questo sia “ingiusto”. La nomina dei capi degli uffici è una decisione dell’organo di autogoverno della magistratura di concerto con il ministro della Giustizia. È una decisione che ha una valenza politica. È sindacabile sotto il profilo della legittimità, non del merito. Nessun giudice può sconfinare e stabilire chi sia il candidato più idoneo, come nessun giudice può decidere chi sia il vincitore di un concorso universitario o di una gara d’appalto: la scelta spetta agli organi preposti. Il controllo giurisdizionale è circoscritto alla legittimità. Per la giustizia della decisione, occorre che questa sia trasparente. Ciascuno, in base alle proprie personali valutazioni, può condividerla o contestarla, ma ciò non rileva in funzione della sua giustizia o della sua ingiustizia.

Ci sono state nomine che hanno provocato tra gli addetti ai lavori e nell’opinione pubblica grandi perplessità?

Ancora oggi si contesta la sconfitta di Giovanni Falcone, preferito a un candidato più anziano quale dirigente dell’Ufficio istruzione di Palermo, nel 1988. E si dubita della designazione di Giuseppe Chiovenda, quale professore di diritto processuale civile nella Università «La Sapienza» di Roma, in luogo di Lodovico Mortara, che, dopo quel concorso, nel 1903, lasciò l’insegnamento per la magistratura. Ogni nomina implica e presuppone una valutazione. In considerazione dei poteri e delle funzioni del soggetto da nominare, può suscitare un dibattito. Ma ciò non giustifica l’ondata di fango sulle istituzioni, perché nessuno può ritenersi depositario della Giustizia, ancora con la maiuscola.

«servono norme di delega chiare e specifiche»

«SE LE NORME DI DELEGA NON SARANNO “CHIARE E SPECIFICHE” E NON SARANNO RIEMPITE DI CONTENUTI SPECIFICI E LE SCELTE OPERATIVE SARANNO AFFIDATE AGLI INTERPRETI, GLI OBIETTIVI DELLA RIFORMA DI “RAZIONALIZZAZIONE, SEMPLIFICAZIONE E SPEDITEZZA” SARANNO FRUSTRATI.

IL MIO LIBRO VUOLE OFFRIRE UN CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE»