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Dalla radio vibrano le note di Un sabato italiano; «il peggio sembra essere passato» canta Sergio Caputo, gli Anni di piombo sono appena alle spalle e, in una dissolvenza incrociata, improvvisamente irrompono sulla scena le icone spensierate del riflusso, la nazionale di Bearzot campione del mondo, le radio libere, gli antenati dei cinepanettoni, l’edonismo reaganiano, i video delle pop star.
In quei primi anni 80 Fabrizio Frizzi era il conduttore poco più che ventenne di Tandem trasmissione cult di Rai2 in cui i ragazzi delle scuole di tutta italia si sfidavano in giochi vari di abilità e cultura, con il celebre Paroliamo a fare da prova regina. Quegli stessi adolescenti che appena qualche anno prima si scorticavano e si tendevano agguati nelle piazze ora li ritrovi nelle discoteche, nei fast- food, nei villaggi vacanza e negli studi televisivi dove sfoggiano i primi abiti di marca: paninari, tozzi, new wawe, semplici nerd. Frizzi conduceva il gioco con la leggerezza di una nuvola e con un’ironia accogliente che lo ha accompagnato per tutta la sua carriera. Difficile d’altra parte fare il sacerdote in 17 edizioni di Miss Italia e non perdersi in quel tritacarne da fiera strapaesana del bestiame un tanto al chilo; lui invece ne usciva indenne come un paggio, con un candore d’antan che faceva da scudo alle pulsioni sessiste, ai doppi sensi, al laido paternalismo che si accompagna a qualsiasi concorso di bellezza.
No, non aveva l’arguzia narcisa dei saputelli da talk- show, né il cinismo compiaciuto dei polemisti da social media. Niente sottotesto, nessun artificio, nessuna maschera, Frizzi è stato la fedele e limpida immagine di se stesso: mai una parola offensiva, mai una gratuita esibizione del proprio ego, mai una predica dal pulpito mediatico su cui è rimasto per quasi 40 anni.
Era estraneo anche alla falsa umiltà del “gentismo”, alla patetica doppiezza dei conduttori che si mettono dalla parte “degli ultimi” e poi trattano come servi le proprie maestranze. Chi lo ha conosciuto parla di una persona curiosa e colta, chi ci ha lavorato giura di non averlo mai sentito alzare la voce o rivolgersi con mancanza di rispetto verso nessuno, qua- lità più unica che rara dello starsystem televisivo dove qualsiasi mezza tacca con un riflettore puntato in faccia si sente autorizzata a sclerare come Caligola. Nessuno, ma proprio nessuno può affermare di averlo visto, non incazzato, ma semplicemente alterato. Anche quando i media hanno ficcato il naso nella sua vita privata, sbattendo in prima pagina i suoi flirt, i suoi matrimoni e le sue rotture avvolgendolo con la colla morbosa del gossip lui non si è mai scomposto, rispondendo sempre con un sorriso ai pettegolezzi e alle insinuazioni pruriginose.
Conosceva bene il gioco della celebrità, Frizzi, e giustamente lo viveva come tale, sapendo di essere un privilegiato. E nel contempo, da Tandem all’Eredità i suoi programmi hanno segnato un pezzo importante della storia televisiva italiana, I Fatti vostri, Scommettiamo che...? , Domenica In, Piazza Grande, Telethon, Cominciamo bene, I soliti ignoti, Ti lascio una canzone, Ballando con le stelle solo per citare i più noti, pezzi essenziali di quella cultura “bassa” o popolare che raccontano le evoluzioni sociali di una nazione molto più di mille trattati e che fanno arricciare il naso alla critica snob. Quella che già pochi minuti dopo la scomparsa di Frizzi sdottoreggiava proponendo accostamenti con la Fenomenologia di Mike Buongiorno, citatissimo articolo di Umberto Eco apparso sul Secondo diario minimo .
In questo schema Frizzi sarebbe stato una specie di Mike “due punto zero”, un alfiere stucchevole dell’italiano medio, il fidanzato ideale che ogni mamma si augura per la sua figliola. Se Mike incarnava la mediocritas e il buon senso piccolo borghese del «basic italian» un po’ vigliacco che «giosce col vincitore perché onora il successo ed è cortesamente disinteressato al perdente», Frizzi predicava al contrario nel deserto del buon senso smarrito, la sua televisione vogava in direzione contraria al vento becero del populismo e in qualche modo ne costiutuiva uno degli ultimi antidoti o comunque un piacevole porto franco in cui rifugiarsi.
Ora tutti lo celebrano come «il ragazzo eterno della tv italiana» ma Fabrizio Frizzi non era un affatto un ragazzo, era un uomo d’altri tempi che professava una gentilezza sobria, d’altri tempi. Lontana anni luce dalla pozzanghera italiana, dal paese sguaiato e livoroso dei vaffa e della calunnia corale, dal qualunquismo plebeo e irresponsabile con la bava alla bocca che schiuma contro i “politici ladri”.
Se la sua morte ha colpito al cuore milioni di persone che in queste ore lo stanno salutando con sincero affetto, non è perché in lui vedevano un «simpatico fratellone», ma perché la sua tv, in fondo, rispecchiava la parte migliore di tutti noi.