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LA PRESIDENTE DELL’AVVOCATURA PUBBLICA: LA NOSTRA MOZIONE PER LE ASSISE DI LECCE INVOCA IL SUGGELLO COSTITUZIONALE COME UNICA VERA GARANZIA DELLA PARITÀ TRA LE PARTI NEL PROCESSO
PRESIDENTE UNAEP, DIRETTORE AVVOCATURA CIVICA COMUNE BOLOGNA
Manca oramai pochissimo tempo all’assise congressuale degli avvocati italiani.
Sono una outsider, né consigliere dell’Ordine, né appartenente alle maggiori organizzazioni forensi. Appartengo alla pubblica avvocatura e ad una associazione, Unaep, di peso specifico inferiore. Ciò non mi ha impedito di avere l’onore da parte dei miei colleghi felsinei, e l’onere, di essere fra i delegati a rappresentarli a Lecce il 6, 7 e 8 ottobre.
Unaep ha presentato una mozione — Mp 124 - Trentini ( Unaep) - Avvocatura enti pubblici ( 06- 09 13.08) —, è stata ammessa, ha ricevuto le sottoscrizioni necessarie. Seguo dunque con grande attenzione ciò che avviene.
Si tratta di un Congresso molto importante: si svolge in un periodo storico delicatissimo, caratterizzato da crisi profonde in quasi tutti i settori della vita sociale di ciascuno di noi e di tutte le attività che svolgiamo. Ecco, dunque, che partendo dall’intitolazione di questo Congresso, “L’Avvocatura e il suo ruolo costituzionale, risorsa necessaria per un cambiamento sostenibile. L’effettività della tutela dei diritti, garanzia dello sviluppo sociale”, scaturiscono riflessioni o meglio conferme di riflessioni già svolte in precedenza, che vale la pena rammentare.
Partirei dal Dubbio di lunedì scorso, dall’articolo “Riconoscere davvero gli avvocati”: essere riconosciuti, il risultato ( minimo) che viene evidenziato nell’articolo del caro amico Errico Novi. Quasi come si parlasse di una nuova start up.
La professione forense, invece, affonda le proprie radici nell’antichità più di ogni altra. Chi non ricorda – se non le opere – almeno i nomi di personaggi celebri come Marco Tullio Cicerone, Paolo, Gaio, Modestino, Papiniano, Ulpiano, che tanto si distinsero nelle aule dei tribunali dell’antica Roma? Come si è potuti passare dai giureconsulti, dagli advocatus, alla start up da riconoscere? Come si è potuti passare dall’indiscusso prestigio secolare alla decadenza degli ultimi decenni? Al compenso equo negato, al “prendi- 3- difese- al- prezzo- di- 1” di Groupon, al “lavora- gratis” dei ministeri con l’avallo dei magistrati?
Interroghiamoci. Non è sempre “tutta” colpa degli altri. Se da un lato è vero che il panorama politico è scaduto assai e con esso la qualità delle proposte e dei provvedimenti normativi, dall’altro l’esplosione del numero degli avvocati e la loro sfrenata concorrenza per la ( comprensibile) sopravvivenza, ha fatto il resto.
Tornando al punto di partenza, la riforma della giustizia è in ogni nuovo governo uno dei punti salienti, data la necessità di renderla più veloce e competitiva. Si oscilla fra chi vorrebbe riforme epocali e chi vorrebbe piccoli aggiustamenti. Ciò che si perde di vista è il dettaglio dell’operazione lasciandosi abbagliare dall’imponenza della riforma: il soldato Ryan non si salva se si interviene solo in parte, ma si salva se si ha il coraggio di decidere, di compiere la “guerra giusta”.
Come già affermato più volte nelle colonne dei giornali, mai nessuna riforma ha sin qui affrontato la “guerra giusta”: se non si parte ponendo sullo stesso piano costituzionale – e dunque di garanzia – le parti del processo, qualsiasi riforma sarà sempre destinata a non cambiare nulla; se non si limita il numero degli avvocati, l’inflazione forense porterà sempre più squalificazione e crisi. È un principio fondante l’economia: a grandi quantità di offerta, corrispondono bassi prezzi e qualità a buon mercato.
La riforma delle riforme deve allora partire dalla Costituzione. È questo che “la politica non può ignorare”, non più. Sono note le proposte avanzate da tempo dal Consiglio Nazionale Forense, e riprese più volte dalla nostra associazione rappresentativa degli avvocati pubblici. Il riconoscimento del ruolo dell’avvocato passa solo dalla Costituzione, da attuarsi mediante una modifica o dell’art. 111 o dell’art. 24, in cui inserire la libertà e l’autonomia del professionista e la necessità della difesa tecnica, da rendere paritetiche all’autonomia e libertà del giudice.
In ciò l’Italia – benché culla del diritto – sconta un ritardo notevolissimo sulla protezione dei tutori della legalità e della difesa, con riguardo sia agli altri Paesi europei, sia a Paesi extraeuropei ( si pensi alla Tunisia, la cui Costituzione prevede all’art. 105, che “La professione di avvocato è libera e indipendente. Essa contribuisce alla realizzazione della giustizia e alla difesa dei diritti e delle libertà” ( comma 1) e che “L’avvocato beneficia delle garanzie di legge che ne assicurano la protezione e gli consentono di esercitare le sue funzioni”).
Se a ciò si aggiunge che quella dell’avvocato in Costituzione non rappresenterebbe una previsione ex novo, dal momento che la pregnanza dell’attività esercitata dall’avvocato è già riconosciuta con riguardo alla composizione di alcuni organi costituzionali e di rilievo costituzionale, l’assenza di menzione del ruolo nell’ambito del diritto di difesa in giudizio appare quanto mai desueta e tanto più urgente.
Con riguardo al tema in oggetto, l’organo rappresentativo dell’avvocatura ha posto l’accento sull’inserimento di «previsioni concernenti strettamente l’avvocatura», proponendo l’inserimento in Costituzione di uno o più commi all’art. 111 che preveda/ prevedano che “nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati” e circoscriva/ circoscrivano a casi straordinari e limitati (“ tassativamente previsti dalla legge”), la possibilità di prescindere dall’assistenza dell’avvocato, se ciò non pregiudichi “l’effettività della tutela giurisdizionale”.
Il punto focale sta nella specificazione delle modalità d’esercizio della professione, che deve essere necessariamente svolta “in posizione di libertà e di indipendenza, nel rispetto delle norme di deontologia forense”.
Le proposte del Cnf sono, in definitiva, dirette a riconoscere e rafforzare il ruolo pubblicistico svolto dell’avvocatura, nel rispetto, tuttavia, della “natura libera della professione forense”.
Per “natura libera della professione forense” deve ovviamente intendersi la libertà intellettuale dell’avvocato, diretta e funzionale ad assicurare, in posizione di indipendenza dai pubblici poteri, l’effettività del diritto di difesa della persona privata o pubblica e l’interesse alla corretta amministrazione della giustizia. Questa della posizione di “indipendenza dai pubblici poteri” finalizzata a garantire l’effettività del diritto di difesa e il corretto andamento della giustizia si connette strettamente all’autonomia, all’assenza di conflitti di interesse, al segreto professionale, tutti valori fondamentali nelle professioni legali che rappresentano posizioni di pubblico interesse, e come tali protetti e tutelati in ambito sovranazionale ( art. 6 Convenzione Edu, Carta di Nizza, Corte di Giustizia Ue, ecc.), prima ancora che dalla legge forense. Ma si collega altrettanto strettamente alla ( già tutelata) terzietà del giudice, poiché tale valore è garantito solo se sussiste anche l’autonomia dell’avvocato, affinché la parità di tutte le parti nel processo sia attuata, mediante un esplicito riconoscimento costituzionale del ruolo dell’avvocatura, essendosi rivelati deboli i riferimenti impliciti di cui all’art. 24 e le previsioni di composizione degli organi costituzionali.
Su questo percorso consiglierei di essere coraggiosi e di partire da questa tessera mancante del mosaico “giustizia”, se vuole riformare in senso reale ed utile un settore nevralgico e sofferente come questo, affinché l’“effettività della tutela dei diritti” e l’“inviolabilità del diritto di difesa”, procedano inscindibilmente accanto alla “posizione” di “libertà, autonomia e indipendenza” nella quale l’avvocato “esercita la propria attività professionale” e il giudice “amministra la giustizia”, in posizione di “parità tra le parti” nel processo.
Salviamo allora il soldato Ryan, ridiamo dignità alla professione forense, eleviamo il valore generale di una giustizia che funziona. E salvando il soldato Ryan l’intera collettività ringrazierà. È questa la guerra giusta.