In principio fu Bettino Craxi, però la sua parabola giudiziaria si è consumata in un contesto largo, ossia dentro la temperie politica di Tangentopoli. Certo, nella narrazione pubblica il supercattivo era lui, il corpulento segretario del Psi, bersaglio di contumelie e monetine, ma venne travolto da un’onda più ampia che spazzò via l’intera classe politica. Con Silvio Berlusconi fu diverso, le inchieste che lo riguardavano non avevano nulla di sistemico, erano procedimenti ad personam, proprio come le leggi che il Cavaliere ha fatto approvare quando era lui il presidente del consiglio. Decine di processi, (ne abbiamo contati 36, che arrivano a 88 se si sommano tutti i gradi di giudizio) che per un ventennio lo hanno inseguito senza sosta. Alla fine Berlusconi ha ricevuto una sola condanna, nel 2013, per frode fiscale, che gli è costata l’ineleggibilità e l’umiliazione dei servizi sociali. In tutti gli altri casi è stato assolto o prosciolto per avvenuta prescrizione o per amnistia. Ma per la “macchina infernale”, e cioè il combinato disposto dell’azione delle procure e del giustizialismo mediatico Silvio è un colpevole, uno che “l’ha fatta franca”. Il caso più emblematico nel processo Ruby, quello delle olgettine, in cui venne addirittura accusato di favoreggiamento della prostituzione minorile. Se i pm non sono riusciti a dimostrare un bel nulla tanto che è stato assolto perché il fatto non sussiste, il circo dell’informazione al contrario non si è mai rassegnato nell’abbandonare il metodo dello sputtanamento, pubblicando tonnellate di intercettazioni irrilevanti ai fini dell’inchiesta, dettagli piccanti sulle serate di Arcore e ancor più pruriginosi reportage sul Bunga Bunga. Come le tricoteuses che durante il Grande Terrore assistevano compiaciute alle teste dei “nemici del popolo” che rotolavano in piazza della Bastiglia. L’indiscreto fascino della forca è la radiazione di fondo di Mani Pulite, un habitus mentale che condiziona da tempo la gran parte dell’informazione in Italia. Ora che Berlusconi è incamminato sul viale del tramonto il bersaglio dell’isteria giacobina è diventato Matteo Renzi, da qualche anno nel mirino dei Pm e del loro house organ, il Fatto Quotidiano, entrambi alla disperata quanto infruttuosa ricerca di una prova che lo inchiodi e che dimostri quanto sia un uomo corrotto. La pubblicazione della lettera del padre Tiziano al figlio Matteo, finita negli atti del processo open e poi passata dalla procura di Firenze alle testate “amiche” è un distillato di questo metodo barbarico. Leggere come Renzi senior spari a zero sul cerchio magico del figlio (Bianchi, Bonifazi e Maria Elena Boschi) che chiama «la banda bassotti» è una speziata nota di colore, ma non ha nulla a che vedere con i fatti per cui l’ex rottamatore è indagato. Gli avvocati della difesa avevano giustamente chiesto al procuratore di non acquisire quella lettera privata, irrilevante dal punto di vista giudiziario dà in pasto alla piazza lo sfogo personale di un padre con suo figlio. E se anche un reporter civile e sofisticato come Ezio Mauro rilancia compiaciuto su twitter la lettera di Tiziano, vuol dire che la misura è colma, che il gossip giudiziario ha sostituito il giornalismo fondato sui fatti. Speriamo non abbia ragione il garantista sanguigno Guido Crosetto quando prevede che il prossimo scoop sarà «Ia pubblicazione di una colonoscopia, che un PM avrà allegato agli atti».