Per cosa lo ricordiamo Domenico Modugno? Certo, per quell’incredibile Nel blu dipinto di blu, presentato per la prima volta al Festival di Sanremo edizione 1958: lui e Johnny Dorelli rompono gli schemi; ve la ricordate certamente, quella canzone: « Penso che un sogno così non ritorni mai più / mi dipingevo le mani e la faccia di blu / poi d’improvviso venivo dal vento rapito / e incominciavo a volare nel cielo infinito…». È uno spartiacque, quella canzone: segna una “rottura” non solo per il testo che scardina il tradizionale “amore/ cuore”, “mamma/ fiamma”. Non va solo ascoltata: va vista, per il “gesto”. Modugno non rimane impalato davanti al microfono, come gli altri cantanti fino a quel momento. Quelle braccia allargate, e poi alzate, quando esplode «Volare oh oh/ cantare oh oh/ Nel blu dipinto di blu/ felice di stare lassù », sono una liberazione. Da quel momento niente è più come prima.

Modugno è insieme popolare e impegnato: di quell’impegno da cui si ricavano molte soddisfazioni e non troppi onori; perché si dà corpo a sentimenti e passioni civili, senza per questo legarsi a partiti o gruppi di potere. Bisogna cercare di entrare in quegli anni, non sono troppo lontani, eppure sideralmente distanti dal “sentire” di oggi. È il 1965, quando Francesco Guccini e i Nomadi cantano Dio è morto, canzone che qualche occhiuto funzionario della Rai giudica intrasmissibile ( per beffa, la si ascolta poi mandata in onda da Radio Vaticana); e sono gli anni in cui Loris Fortuna, Marco Pannella e Mauro Mellini si battono perché anche in Italia ci sia una legge che consenta alle coppie “scoppiate” di poter divorziare e rifarsi una vita e una famiglia. La legge alla fine viene approvata: l’allora pachidermico Partito Comunista vince timori e remore; per allargare il fronte si coinvolgono i liberali di Giovanni Malagodi ( la legge, infatti si chiamerà Fortuna- Baslini). La Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani e i settori più conservatori del Vaticano promuovono allora un referendum per abrogare la legge, sicuri di vincerlo. Fanfani in un comizio a Enna giunge a vaticinare che in caso di vittoria dei divorzisti, le mogli sarebbero fuggite con le loro donne di servizio. In Sicilia, per inciso, si registra una delle più alte percentuali di Sì alla legge. Il Pci timoroso d’essere tradito dalla sua base, solo alla fine, scende pesantemente in campo in difesa della legge. È il primo di tanti scollamenti del vertice dalla sua base. Saranno invece gli elettori della Dc e dell’Msi a “tradire” le indicazioni dei loro dirigenti.

Non sono molti gli artisti che accettano di schierarsi in favore della legge; ne ricordiamo alcuni: Arnoldo Foà, Pino Caruso; e lui, Domenico Modugno. Incide una canzone che verrà diffusa nei comizi divorzisti. La canzone si chiama: L’anniversario.

Musicalmente parlando, Modugno ha fatto di meglio; ma il testo è una piccola rivoluzione: si parla di una coppia di “conviventi” ( non molto prima, il vescovo di Prato aveva additato come “pubblici concubini” una coppia sposata solo in Municipio, civilmente). Una coppia con il cognome diverso «… ma uguale abbiamo il nome/ noi ci chiamiamo amore/ tutti e due amore senza data/ senza carta bollata… noi non ci giuriamo niente/ perché non c'è bisogno/ con un contratto/ non si lega un sogno come ti sono grato/ di questa libertà/ la libertà di amarti/ senza essere obbligato/ mia rosa senza spine/ mia gioia…».

La straordinaria interpretazione di Rinaldo in campo, la commedia musicale di Garinei e Giovannini, è qualcosa che ancora oggi commuove ed emoziona: soprattutto quando Modugno canta La bandiera, i cui versi, nella loro semplicità e bellezza, sono il miglior antidoto a sovranismi e populismi: « Col bianco delle nevi delle Alpi/ Col verde delle valli di Toscana,/ Col rosso dei tramonti siciliani,/ Noi facemmo una bandiera/ Bianca rossa e verde/ La bandiera tricolor/ Bianca rossa e verde / La bandiera tricolor/ Col bianco dei colombi di San Marco/ Col verde dei miei prati in Lombardia,/ Col rosso dei papaveri abruzzesi/ Col bianco dei capelli di mia madre/ Col verde di due occhi tanto belli,/ Col rosso, rosso sangue dei fratelli… ».

C’è un filmato, ( e molte fotografie), che ritrae Modugno già un po’ avanti con gli anni; l’ictus lo ha già ferito, ne è uscito per il rotto della cuffia. Non parla spedito, si muove lentamente, appoggiato a un bastone; spesso seduto su una carrozzella; ma lucidissimo, come non mai. È in corso a Roma un congresso del Partito Radicale. Lui per i radicali da sempre nutre simpatia, quel “pazzo” di Pannella gli piace, proprio perché rompe gli schemi; quando può dà loro una mano, si è anche iscritto e spende il suo nome per iniziative in favore dei diritti civili e umani. A quel congresso c’è anche Enzo Tortora, da poco uscito dal calvario giudiziario in cui la magistratura napoletana l’aveva impigliato.

A un certo punto accade qualcosa che è difficile raccontare, bisogna averlo vissuto: Modugno, che siede al palco della presidenza, a fatica ce la fa ad alzarsi in piedi: in una mano il microfono, l’altra brandisce il bastone come una bacchetta di maestro d’orchestra; comincia a intonare quel liberatorio Nel blu dipinto di blu…; e tutto il congresso, alcune migliaia di voci si mette a cantare, “vola” con lui… Nel 1987 Modugno accetta la candidatura al Parlamento nelle liste radicali. Viene eletto parlamentare. Si impegna in particolare sui temi dei diritti delle persone disabili. Conduce una vera e propria battaglia per chiudere l’ospedale psichiatrico lager di Agrigento, dove i malati erano costretti a vivere in condizioni disumane; nel 1988, grazie a lui quel lager viene chiuso; e lui tiene il suo primo concerto dopo la malattia proprio dedicandolo a quei malati. Questo è il Domenico Modugno “altro” che forse gli altri non racconteranno. Eppure è il Modugno più vero, quello che anche nei momenti di malinconia, di tristezza, di sconforto, di “abbandono”, non mai cessato di credere e di sognare; di “volare”.