Bruno Mastroianni fa parte della giuria che oggi proclamerà il vincitore del torneo “Dire e contraddire”. Secondo l’esperto di linguaggio social, la violenza verbale è una forma di debolezza e di incapacità ad esporre il proprio pensiero. La rete, poi, espone a grandi rischi.

Il linguaggio d’odio si combatte con un lavoro costante coinvolgendo direttamente i giovani. Quanto sono importanti le scuole?

Isac Asimov faceva dire a un personaggio dei suoi romanzi: «La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci». Se lo applichiamo al linguaggio, potremmo dire che «la violenza verbale è l’ultimo rifugio degli incapaci a discutere e dialogare». La scuola è fondamentale per un motivo su tutti: imparare a convivere con gli altri, e quindi a discutere con loro per capirsi. È qualcosa che si matura con il costante esercizio e la pratica. Non è qualcosa di totalmente innato. Solo un’educazione costante alla buona comunicazione può mettere le persone nelle condizioni di essere consapevoli del potere, distruttivo o costruttivo, delle parole.

Gli avvocati, con il torneo “Dire e Contraddire”, sono impegnati in prima linea… Le attività di allenamento al dibattito sono fondamentali. Sono come un laboratorio dove si simula ciò che poi servirà per la vita di tutti i giorni: imparare a spiegarsi, a sostenere le proprie idee in mezzo alle differenze. È solo quando si rispetta il dissenso e le divergenze di opinione che si fa davvero lo sforzo di parlare con gli altri e non sugli altri. Le scuole di dibattito devono essere palestre inclusive non luoghi dove si allenano grandi oratori e si tengono fuori coloro che sono più introversi, ma il contrario. Io seguo le attività della “Palestra di Botta e Risposta” di Adelino Cattani che ha proprio questa impostazione: aiutare ciascuno, secondo le sue capacità, a maturare virtù argomentative. Il torneo di Dire e Contraddire ha la stessa aspirazione, vale a dire suscitare il gusto di una disputa che non sia solo seria e ben fatta, ma che soprattutto sia felice, che dia piena soddisfazione a tutti i partecipanti.

Argomentare e saper argomentare sono i primi strumenti utili per contrastare l’hate speech?

Argomentare vuol dire due cose. La prima è farsi carico dell’onere di rendere convincenti le proprie idee. Chi argomenta non si limita a dire cosa pensa, ma fa lo sforzo di mettere alla prova per primo le sue idee in modo che risultino convincenti di fronte agli altri. Da qui la seconda. Per argomentare occorre conoscere e ascoltare coloro a cui ci si rivolge. Argomentare alla fine è capire prima ancora di farsi capire. Se ci pensiamo bene, è una rivoluzione copernicana rispetto a ciò che ci verrebbe d’istinto. Il buon argomentatore è tale solo se sa maturare il rispetto per le idee degli altri e da quelle sa partire per proporre le sue.

La rete richiede comunque capacità di argomentazione?

Nella società iperconnessa in cui siamo immersi la capacità di confrontarsi con gli altri non è più solo per alcune professioni o per addetti ai lavori. Il cittadino digitale deve saper usare bene le parole perché tra chat, social e web in generale è messo nelle stesse condizioni di un comunicatore. Se un tempo le conoscenze di base erano saper leggere, scrivere, far di conto e avere una cultura generale, oggi, con la rete, si aggiunge il saper comunicare attraverso le piattaforme digitali. L’allenamento all’argomentazione è una delle vie maestre per crescere nella consapevolezza di ciò che possiamo fare con le parole nel distruggere o costruire le nostre relazioni sociali. Fosse per me inserirei nei programmi scolastici di base la retorica, la dialettica e la pratica del dibattito fin dalla scuola materna.

BRUNO

MASTROIANNI

ESPERTO DI LINGUAGGIO SOCIAL