Vincino è stato il Leonardo Sciascia della satira italiana, sia detto senza retorica, sia detto fuori dogni iperbole cerimoniale ora che non cè più. Vincino è stato un amico, Vincino disegnava in modo straordinario, e questo nonostante alcuni pensassero invece che i suoi disegni, le sue vignette fossero popolati da sgorbietti formicolanti, quasi un ragno tracciasse ogni faccina. La faccina di Andreotti, la faccina di Berlinguer, la faccina di DAlema, la faccina di Berlusconi, addirittura quella di Di Maio.Vincino, infatti, grazie al suo tratto a gomitolo, riusciva a restituire ora il doppio mento da pellicano di Renzi ora il naso pizzuto, meglio, le narici insofferenti da Don Rodrigo di un DAlema. Per puro talento, dono trovato dentro se stesso. Vincino era palermitano, laggiù in Sicilia era nato nel maggio del 1946, famiglia borghese, solido mobilio Ducrot, vessilli residenziali di un liberty del tempo dei Florio, accento e cadenza perfettamente aderenti al rango, allo scetticismo filosofico isolano, Vincino diversamente da altri, amava perdutamente la città, pronunciarne perfino il nome con incanto, Palermo, la sua luce, così, a ridosso dogni nuova bella stagione, sui bordi dellestate, preparava il bagaglio del ritorno giù, nella casa di Mondello, una villetta, anzi, un villino, alle spalle del paese, piccolo gioiello architettonico della grazia residenziale marina cittadina pomeridiana, gelsomino e granita.Spesso andava in piazza, al bar Antico chiosco, per poi tornare presto a casa e riprendere a disegnare, srotolare il suo solito gomitolo a china, nero, si può dire che mai smettesse di disegnare,Vincino, era infatti unofficina vivente, ogni suo disegno, colava giù come necessità di unidea, un pensiero, un appunto, un dettaglio da segnare, un po come Ettore Maiorana che segnava le formule sui pacchetti di sigarette, le stesse con cui altri, anni dopo, avrebbero vinto il Nobel, lui infine li accartocciava, li buttava via, lo stesso avveniva con Vincino.Più che vignette, erano appunti su appunti, schizzi, provini, piccoli teatrini, quasi in forma diaristica, ecco, note disegnate su taccuino dove poteva comparire chiunque, sia Grillo sia Grasso sia Di Battista sia Marcello Foa sia se stesso sia Ronaldo con la scucchia, oppure, e qui faccio un piccolo salto nel passato più o meno recente, il comune amico Gianfranco Micciché, detto Frisco, esatto, nei primi giorni di Forza Italia, quando proprio Frisco ebbe i gradi e il bastone di comando di Console generale della milizia azzurra in Sicilia, Vincino addirittura gli fece un meraviglioso disegno dove si narrava la turpe storia delle cornicette marocchine imbottite di chissà quale merce e da Frisco o chi per lui spedite dal Marocco fino qui in Italia, nello stesso disegno, Vincino, non pago di tanto amore, pubblicò anche il numero di cellulare privato di Frisco, così, per farlo sentire meno solo, affetto da palermitano a concittadino, ovviamente Frisco mai gliene volle. Vincino, si sa, aveva militato in Lotta continua, Vincino, in verità, si chiamava Vincenzo Gallo, figlio del direttore dei Cantieri navali cittadini, là dove unera addietro brillava lorgogliosa classe operaia palermitana, pugno chiuso sollevato e nellaltra mano il panino con la frittola o con la milza, una copia de LOra in tasca, giornale leggendario che ha visto i suoi esordi. Fra le molte cose delle origini custodite nel cuore da Vincino il ricordo di un amico pittore, Mario Sala, morto troppo presto, e ancora lamicizia non meno continua della lotta pregressa con Nuele Diliberto, artista anche questi, a Vincino piaceva molto essere palermitano, lo era da vero uomo di mondo.A proposito dellesperienza di Il Male,leggendario giornale di satira degli anni 70- primi 80, raccontava di custodire nel terrazzo di casa, a Roma, il busto di marmo di Andreotti, lo stesso che lintera redazione di quel giornale avrebbe voluto piazzare al Pincio con una cerimonia politica e insieme dadaista, così finché non intervennero i poliziotti a sequestrare il manufatto.A Roma, Vincino abitava quasi dentro il Colosseo, proprio lì, luomo, va detto, era anche molto romano, a Montecitorio veniva accolto da cronista parlamentare con tanto di quarti di nobiltà e anzianità militante, Vincino era garantista, vicino alle battaglie dei Radicali, amava anche essere elegantemente trasandato, impermeabile chiaro, molto palermitano e insieme inglese, lì a far pensare alle vetrine di DellOglio, negozio dei portici residenziali palermitani, dove la buona borghesia della città va a far provviste dabbigliamento buono. A me suggeriva paternamente di non essere sempre polemico ogni qualvolta venivo cacciato fuori da un giornale: Altrimenti poi non ti vuole più nessuno, ti fai una cattiva reputazione, sapessi quante volte hanno cacciato me! Fra le tante, le tante sue, la volta in cui aveva raccontato di Scalfari e la sua amante ufficiale, è riportato perfino su Wikipedia. Vincino, torna adesso in mente, voleva bene a Jacopo Fo, che sul  Male si firmava Giovanna Karen, e raccontava storie magiche e insieme esilaranti, vedi quella del ragazzo che si reca in tabaccheria per comprare Marlboro e cartine e alla fine, dopo aver scazzato con il tabaccaio, finisce ammanettato dalla squadra narcotici.Ha fondato molti giornali, Vincino, li ha messi al mondo anche dopo la fine della storia gloriosa del  Male, con Vauro, Mannelli, Sergio Saviane, Stefano Disegni, compreso  Il Clandestino, che tale fu davvero, e poi  Boxer, era il 1988, se non rammento male, e cero anchio con lui, ma questo è un dettaglio, conta assai più la sua amarezza per non essere mai più riuscito a creare una nuova testata che sopravvivesse proprio in nome della satira nel quotidiano giornalistico privo di autentica ironia.Come già dicevo, Vincino non sapeva prescindere in ogni racconto, perfino disegnato, dal suo amore per Palermo, la Sicilia tornava comunque a brillare al centro del suo cosmo narrativo, come assoluto filosofico- logistico: ripensando alla rivolta dell 8 luglio 1960, quando la Celere del governo Tambroni sparò uccidendo numerosi dimostranti a Reggio Emilia e giù in Sicilia, a Palermo e a Catania, qualche anno fa, fece dono al mondo di un disegno che mostrava la sezione del Partito comunista italiano intitolata al martire Francesco Vella, edile, sindacalista comunista, nel disegno appaio io mentre parlo ai compagni seduti. Va detto però che Vincino era anche anarchico, con la passione per la rivoluzione libertaria spagnola del 1936, per Durruti.Ancora poche settimane fa, su  Il Foglio,il suo giornale fisso insieme al Corriere della Sera, era tornato allimmaginario palermitano disegnando i  Bagni Virzì,dicendo che questi avevano unificato lEuropa con il miglior fritto di calamari e gamberi di tutto il Mediterraneo, glimportava poco che nessuno sapesse cosa mai fossero, era comunque il suo modo di fare ancora una volta ritorno al luogo dellorigine, assodato che, spiega Karl Kraus, lorigine è la meta, i Bagni Virzì, ebbene ormai scomparsi, hanno rappresentato per Palermo ciò che per lalgerino Albert Camus rappresentavano i Bagni Padovanidi Orano, gli stessi di cui si narra ne ' Lo straniero'.Luomo era molto di più di un cronista, di un giornalista, di un illustratore, di un vignettista, di un autore di satira, luomoriusciva infatti, come dire, a secernere, a depositare, a srotolare uno struggentesarcasmo, quasi creaturale, cè una vignetta sul garantismo,tra le sue maggiori preoccupazioni etiche, dove lo sgorbietto giudice, sempre disegnato a suo modo, rivolto a sgorbietto imputato, pronuncia queste parole: Lei mi è antipatico: le do cinque anni! Anni fa, in televisione, Vincino aveva difeso pubblicamente Marcello DellUtri, così qualcuno, forse perfino vecchi compagni, gli aveva detto: Non ti riconosco più! , se solo fosse stato nelle sue possibilità, Vincino avrebbe abolito il carcere con i suoi schiavettoni. Così da quando, su Lotta continua, disegnava una versione del gioco delloca con la faccia di Fanfani.Poche settimane fa aveva chiamato, desiderava presentare sul mio canale il suo ultimo libro, puro succo di autobiografia eroica, Mi chiamavano Togliatti, un filo di voce, meglio, aveva la voce venuta meno, non ho però pensato che stesse male, ho creduto si trattasse di raucedine stagionale, passerà, Vincino, torneremo al lavoro e alla lotta e soprattutto al bar Antico Chiosco a Mondello, ha risposto che, no, la voce non sarebbe mai più tornata quella di sempre, ci siamo lasciati convenendo che lestate può essere perfino cattiva, troppo caldo per trovarci davanti alledicola del suo quartiere, la stessa che diceva di avere adottato perché la carta stampata, i giornali, vanno difesi, protetti, ha detto che sarebbe partito, dunque ci saremmo trovati al suo rientro.Qualche anno fa, Vincino ha raccontato Renzi in un volume, la sua lettura del personaggio è tuttavia già tutta in una vignetta dove, proprio Renzi, taglia con una sega un enorme ramo, che è poi in verità il suo pisello, come fosse il naso del bugiardo cresciuto a dismisura nella favola di Pinocchio, Matteo taglia, e tutto viene giù, il suo PD, la sua Leopolda. Vincino, oltre che lo Sciascia della satira italiana, è stato anche un po Robert Capa, tutto ha cercato di raccontare, documentare, commentare, con il suo sguardo puntuto dietro gli occhiali da miope, i suoi elzeviri disegnati sono teatro da camera della narrazione politica, allo stesso modo di Capa, non si è mai risparmiato, come ha scritto pochi giorni fa in una vignetta, sono stati 70 anni tutti di corsa, Capa nelle sue foto ci ha restituito la Spagna repubblicana allIndocina da lì a poco non più francese, e perfino la Normandia nel momento dello sbarco Alleato, tra i suoi scatti più significativi ce nè uno assai mosso, dove si mostra un ranger della V Armata ancora immerso nellacqua mentre tenta di raggiungere la riva durante il secondo assalto a Omaha Beach, anche i disegni di Vincino, così come lo scatto tra i più significativi di Capa, talvolta sono mossi, instabili, confusi, assomigliano, si è detto, a scarabocchi, si avvitano su se stessi quasi impressionisticamente, e tuttavia ci raccontano per intero il mondo, e tutto ci hanno detto della storia politica e del costume e della rivolta di questi ultimi fantastici e insieme miseri quarantanni di secolo breve e non solo. Chi mai più ci darà degli sgorbietti meravigliosi come i suoi?