Anna Marchesini, come fa nella presentazione di Don Rodrigo dello sketch “Bella Figheira” (che fece tanto arrabbiare i cultori del Manzoni), la metterebbe ironicamente così: io ho fatto a Orvieto, il Liceo Classico Filippo Antonio Gualterio, un ricco signorotto del luogo. Il marchese Gualterio - di cui uno degli ultimi eredi, il marchesino Luigi, era compagno di scuola mio e di Anna, seppur in classi diverse (Luigi, mio amico, che vestiva come un poveraccio, stava nella mia) - nobile orvietano, prefetto, ministro e servitore del Regno, dette il nome a quel Liceo, nel Palazzo cinquecentesco di Ippolito Scalza. Ci torchiavano a suon di italiano, latino e greco. E naturalmente “Promessi Sposi” imparati a memoria. Niente “Porci con le ali” del Mamiani a Roma. Da noi, il ’68 arrivò in sordina nei primi anni ’70. Ma l’ironia era il nostro modo di reagire. Eravamo quasi tutti un po’Anna, una trascinatrice già da allora, che rifaceva con noi, di nascosto, il verso ai professori, soprattutto a quelli più severi, pronti a chiamare i nostri genitori (c’erano tutte le sfumature di grigio della borghesia locale) se non rigavamo dritto.La vittima preferita della nostra goliardia era l’insegnante di religione, l’anello più debole della catena professorale. Il sacerdote molto miope aveva occhiali con lenti che sembravano fondi di bottiglia e soprattutto aveva un difetto di pronuncia labiale. Era spagnoleggiante, nonostante fosse orvietano, perché al termine di ogni parola metteva la “s”. E quindi, quando lui arrivava noi prendevamo in giro il poveretto con un prolungato brusio “s.. s…s.. s…s…. Come in un rito, lui entrava e noi uscivamo con la scusa che dovevamo andare in bagno. E lui: “Ma ragazzis, silenzios, restates, che fates? …”.Il bagno delle donne, in grembiule nero, già corto, con sotto la minigonna vera, era in genere una nuvola di fumo. Contrariamente alla canzone di Mina, secondo la quale un uomo era veramente un uomo solo se fumava, lì era come se vigesse la regola: se non accetti una Muratti Ambassador, una Hb o una Ms, che donna sei? Non ricordo se Anna fumasse. A me quasi lo imposero le più grandi. Era la nostra forma di trasgressione. E così le sigarette venivano riportate a volte a casa, nascoste dentro i “Promessi Sposi”. Forse anche lì, in quella nuvola di fumo, si affermò la centralità delle donne nella cultura di Anna. In quel Liceo hanno successivamente studiato, con la professoressa Fioralba Salani, anche le sorelle Alba e Alice Rohrwacher, la prima attrice, l’altra sceneggiatrice.Ma, come ricorda a “Il Dubbio”, il fratello di Anna, Gianni Marchesini, giornalista e scrittore, cultore della orvietanità, la centralità delle donne Anna la apprese non solo dalla madre Zaira, maestra elementare e ironica poetessa, ma da “una vicina di casa, che urlava sempre con il marito”. Spiega: « Era un mite dirigente comunale di livello venuto dal Nord, che, poveretto, di fronte alle urla inviperite della moglie e della figlia, che parlava a macchinetta, 5000 parole al secondo e tutte dettagliate, si rifugiava nella stanza sfogatoio, diceva: ostia! Smadonnava sommessamente. E si metteva a suonare la tromba».Ma chi era questa vicina di casa che Gianni Marchesini definisce “una vera stalker antelitteram”? La famosa “Signora Flora” «sulla quale – racconta - mia sorella fece il suo primo esame all’Accademia di arte drammatica».Anna fu bocciata. Intanto, si era anche laureata in Psicologia. Spiega il fratello: «Era una cosa propedeutica per fare l’attrice: lei aveva solo quello in testa». Era già un’attrice da bambina. Mi racconta il fratello: «Mia madre Zaira e Anna, quando le urla salivano più forti, si mettevano a imitare la Flora e la figlia Giuliana. Mia sorella, 8-9 anni, e la mia mamma dicevano: aho, qui ri-slatiniamo (nel senso andar fuori dal Latino ndr) ». Gianni, per me, è l’amico di una vita (Anna, con la quale giocavo da bambina perché le nostre mamme erano amiche, l’ho persa di vista dopo il Liceo). Ora, seppur affranto, ricordandomi quelle scenate della terribile signora Flora, “una popolana feroce, un tormento”, non manca di riderci su. Sennò, anche di fronte alla morte, di cui Anna con Fabio Fazio si definì “incuriosita”, che Marchesini sarebbe?È toccato a lui, l’altro Marchesini, il fratello discreto di Anna, che a differenza di lei non ha mai voluto abbandonare la sua e la nostra Orvieto, dare l’annuncio via Facebook della scomparsa forse della più grande attrice comica degli ultimi trent’anni. Sono state per lui giornate terribili, tempestato di telefonate da ogni dove, dai Palazzi della politica a quelli dello spettacolo, «fino a qualche pazzo che si finge grande amico di Anna e ora mi chiede di trovargli lavoro in tv! ». Ma Gianni, anche lui con me e Anna al Liceo Gualterio («Eravamo proprio birbanti»), pur nel dolore conserva forte il senso dell’ironia. Spiega: «Vedi, il senso comico delle cose per noi Marchesini è come il diabete che si trasmette per via ereditaria. Tutto iniziò con il nonno Giovanni. Un fattore padre della nostra mamma Zaira, si divertiva con i contadini a rifare tutti i governi. Allora, a uno, tal Nicola, diceva: te per me sei il ministro dell’Interno perché non c’hai voglia di fare un c…, a un altro dava l’incarico di quello degli Esteri e via così». Il nonno Giovanni un giorno a piazza della Repubblica, a Orvieto, vide un tizio e gli disse: te per me sei di Bassano. «Quello non capiva, insisteva: ma guarda che so’ de Benano (frazione di Orvieto ndr), ma il mio nonno voleva solo scherzare per dirgli che era basso».Poi, un flash sulla sorella anni ’80 allora famosissima con il celebre Trio, “luce” di questo (come ricordano Massimo Lopez e Tullio Solenghi): «Anna quando tornava ci inchiodava tutti (la mamma Zaira, il papà Galileo e la sorella Teresa ndr) per ore di fronte alle sue imitazioni di questo e di quello. Era un’attrice anche in casa! ». Spiega Gianni: «Il Trio fu un modo per scardinare quel tipo di comicità un po’ decotto che allora c’era in Italia. Per carità, Tognazzi e Gassman furono grandi, ma ormai avevano già fatto il loro tempo, così come i Vianello. Il Trio segmentò, scompose la comicità. Affrontò tutto, a cominciare dall’inosabile. E quindi il testo più classico e lineare: I Promessi Sposi». Rifarli a telenovela, il genere che spopolava in Tv negli ’80, richiese uno studio e una preparazione tecnica particolare. Esempio, spiega Gianni: «Le teste tagliate di Bella Figheira, la moviola che si incanta…». E poi Lopez con il rumore dell’autodromo della “Monaca di Monza”. Anna osò anche fare “la komeina”, incidente diplomatico Italia-Iran: «Lei, io e la nostra famiglia vivemmo sotto scorta».Fa però sorridere immaginare Gianni, giornalista e scrittore un po’ anarchico, scortato dalle forze dell’ordine nel labirinto dei vicoli medievali di Orvieto. Lui ha sempre voluto restare sulla Rupe, arroccata, nella città che Fazio Degli Uberti descrisse “Alta e strana” e Dante citò nella Divina Commedia per le liti tra Monaldeschi e Filippeschi, nel libero Comune medievale che arrivava fino al mare di Orbetello (la piccola Orvieto). L’altro Marchesini la mette così: «Questa è come un’isola che galleggia sul mondo, dove anche il più poveraccio (Orvieto slang: poro fregno ndr) vede le cose dall’alto, le giudica e ridicolizza».Eppure Anna ha scritto (come riporta Orvietonews. it) che quando andò a Roma diciannovenne tutti le chiedevano: Orvieto cos’è? È Anna Marchesini. E suo fratello Gianni, nel cui ultimo libro dal titolo “Ah, Pipì” (Zorro edizioni) narra la storia vera di un tizio tal Settimio Pupo che fece nell’800 una causa contro una prostituta. Angela Lupi, vicina di casa che non lo faceva dormire per il chiasso dei suoi clienti di notte, e al giudice torinese, tutto un intercalare di “né né” disse: “Ah, giudice se qui c’è qualcuno che batte so’ io”.“Ah, Pipì” con la pipì vera non c’entra niente. È un modo di dire orvietano che significa: “È proprio così”. Chiedo al restio Gianni: «Ora tocca a te, sei diventato nazionale. Non volevi, ma ti ha citato anche il Tg». Lui: «Ah Paole’, nazionale da esportazione». Così avrebbe detto Anna, ieri tornata nella sua e nella nostra città “Alta e strana”, che ride di tutto, guardando, ma solo per ragioni geografiche, affacciata come è la Rupe sull’A1, le cose dall’alto in basso. E si prende lo sfizio di ridere ancora.Ciao, Bella Figheira. E “Griso bevi qualcosa, vuoi bere qualcosa? ”. Mentre Solenghi beveva da una mezz’ora. Cara Anna, anche i nostri severi professori, del Liceo del signorotto del luogo, in fondo si fecero matte risate.