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Festival o Mostra, questo è il dilemma. E la risposta, forse, è Festival e Mostra. Barbera, tra i migliori direttori che Venezia abbia avuto - straordinario nel primo mandato, più che buono in questo, contando lo stato di crisi in cui sta lavorando - e con la possibilità di un progetto a lungo termine grazie all'ultimo rinnovo, se lo sta probabilmente chiedendo. La coperta è corta, senza dubbio: il budget è ridotto rispetto agli altri top festival, l'inospitale Lido non è più attrattivo per major e divi. L'anno scorso gli si rimproverava una rassegna priva di glamour così come un'emorragia di pubblico e di media (non rilevabile dai numeri, ma in effetti in giro sembravano esserci meno persone) ed ecco arrivare colpi di furbizia da maestro - come il documentario su Franca Sozzani che ha portato sul red carpet il meglio delle top model e degli stilisti - e un po' di star a far felici fotografi e cacciatori di selfie. Ci hanno pensato l'apertura con La La Land, la splendente Amy Adams (presente in due tra i film migliori, Nocturnal Animals e Arrival), il premio alla splendida Emma Stone, così come Natalie Portman che fa doppietta con Jackie, l'ultimo film (il primo in inglese) del maestro Pablo Larraìn e con il pessimo Planetarium in cui duetta con Lily Rose Depp. Il glam è salvo, ma qui va valutato invece il valore culturale, sperimentale, artistico delle scelte di Barbera e della sua commissione. Perché la Mostra è così, da lei si pretendono stelle e capolavori. E se è vero che il cinema, ormai, è in debito di entrambi, si fa fatica a individuare un livello di qualità appena sufficiente nella selezione complessiva e, in particolare, nel concorso. Come è capitato anche ad altri numero Uno della Mostra, è stata fallimentare la scelta degli italiani. Troppo criticato il buon Piuma, che però forse non aveva le spalle abbastanza larghe per quella collocazione, sotto il livello di guardia Piccioni e il suo Questi giorni - scelta incomprensibile visto che è rimasto fuori l'ultimo eccellente (e incomprensibilmente ignorato) Sole cuore amore di Daniele Vicari così com'è stato lasciato alle Giornate degli Autori il gioiello Indivisibili di Edoardo De Angelis -, Parenti-D'Anolfi con il loro Spira Mirabilis portano in Laguna un cinema di ricerca e di rottura che deve avere diritto di cittadinanza alla Mostra, ma che non appare al livello neanche di altri loro lavori. Per il resto c'è poco di sorprendente, sembra mancare coraggio. Se Larraìn non puoi non selezionarlo e di sicuro Konchalovsky (Paradise), Tom Ford (Nocturnal animals) e Denis Villeneuve (Arrival) erano delle perle di cui ringraziare i selezionatori, per il resto, forse per la congiuntura attuale, forse per qualche abbaglio, abbiamo poco di cui rallegrarci. E pur riconoscendo il valore del Leone d'Oro Lav Diaz e del suo The Woman Who Left, su una donna in carcere ingiustamente per 30 anni, si deve anche ragionare sulle mode festivaliere. Le giurie che dopo averlo sottovalutato ora lo ricoprono di premi, rendono onore al cineasta filippino ma allo stesso tempo segnano la loro distanza dal pubblico, premiando un lavoro non tra i suoi migliori, in bianco e nero e dalla durata monstre di 4 ore (un cortometraggio per le abitudini del vincitore, va detto). Una di quelle mode festivaliere che ne sottolineano l'unicità ma rischiano di minarne la sopravvivenza, perché coraggio e sperimentazione spesso si confondono con l'elitarismo, in questi consessi, in due forze ostinate e contrarie che tentano di assecondare la folla sul tappeto rosso per poi "punirla" all'interno delle sale. E in un mondo in cui è sempre più complicato vivere questi eventi - lo dimostrano gli eleganti e inquietanti blocchi di cemento sul lungomare per evitare eventuali attentati con camion - è un tema che va allargato oltre Venezia (anche Cannes, che pure porta con sé il suo status, quest'anno ha sofferto sul piano della qualità) e discusso con un confronto di alto livello che non sembra esserci attualmente. Perché anche chi giudica, sui giornali e non solo, soffre di miopia, sempre alla ricerca dell'intervista illustre e del film "scandaloso" e mai interessato - come a volte invece capita sul web - a ragionamenti più approfonditi.