Tra i titoli segnalati dagli Amici della domenica per l’edizione 2023 del Premio Strega ce n’è uno che ci sta particolarmente a cuore: è il libro “Una vita come la tua” (Bertoni Editore, 2022, 260 pp.), con il quale Domenico Tomassetti ha vinto la prima edizione del “Premio Letteratura per la Giustizia”, il concorso promosso da Dubbio, Cnf e Fai, che quest’anno giunge alla sua terza edizione.

Avvocato e scrittore, classe 1966, Tomassetti rappresenta la perfetta fusione tra abilità narrativa e sensibilità giuridica. Accanto alla professione forense, che svolge da oltre 25 anni, è stato “coinvolto” nella scrittura (soggetto e sceneggiatura) di alcuni film tra i quali “L’ultima lezione” prodotto dalla Rai (sulla scomparsa di Federico Caffè); “La vita rubata” prodotto dalla Rai (sull’omicidio di Graziella Campagna); “Edda Ciano ed il comunista” prodotto dalla Rai (tratto dal libro di Marcello Sorgi); “La scorta di Borsellino” prodotto da Taodue (sulla strage di via D’Amelio). “Una vita come la tua” è il suo primo e (per ora) unico romanzo.

Pubblichiamo di seguito il testo con il quale lo scrittore Giulio Marcon lo ha presentato al Premio Strega 

Propongo per la prima volta un romanzo al Premio, perché la lettura di Una vita come la tua di Domenico Tomassetti è stata una rivelazione. «Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto». Raramente, ma può capitare, si è orgogliosi anche di quello che scopriamo, leggendo il primo romanzo di un autore che però ha una solida esperienza nell’intrecciare le storie, maturata nella scrittura per il cinema.

In una Roma complice e perduta, un avvocato, che ha perso la memoria di una porzione della sua vita, si affida al figlio per ricercare il tempo dimenticato. Quello che scopre lo mette di fronte all’ineluttabile corruzione che contamina la vita degli adulti. Perché, come si legge nel libro, «le nostre scelte, quelle importanti, non sono lineari, né razionali come vogliamo credere. Seguono percorsi obliqui e, spesso, sono frutto di cedimenti progressivi».

Così, tornato al mondo con una riacquisita e immeritata verginità, il protagonista è costretto a chiedersi se la nostra vita non sia in fondo nient’altro che la storia che «ne abbiamo raccontato non tanto agli altri, ma soprattutto a noi stessi» per trovare un senso alle cose, cercando un’ultima menzogna che coincide con la sua verità più profonda (e la riflessione finale, sulla memoria e sull’identità, è davvero sorprendente). Allo stesso tempo il figlio, che lo accompagna, ha lo sventurato privilegio di conoscere suo padre nella crudele visione delle sue debolezze.

Liberamente ispirato a recenti fatti di cronaca, in equilibrio tra il «mondo di mezzo» di Mafia capitale e l’apparente tranquillità di uno studio legale di Prati, il romanzo mi ha raccontato uno spaccato (senza sconti) di Roma, vista da chi, ogni faticoso giorno, cerca di sopravvivere al mondo della (in) giustizia.

E lo ha fatto con uno stile solo apparentemente semplice – direi divertito e perciò divertente, che si fa leggere – ma sempre alla ricerca «della parola esatta e migliore», come è giustamente scritto nella motivazione di un premio vinto, riportata nella prefazione. A differenza di altri esordienti, troppo spesso attenti solo al loro microcosmo, Domenico Tomassetti ha provato a guardare il mondo che lo circonda, intessendo storie che raccontano vite come le nostre, ma con gli occhi di uno scrittore. Non dovrebbe servire a questo la scrittura? «Una rappresentazione fallace della vita che, tuttavia, ci aiuta a capirla meglio».