Se non hai speranza, sii speranza. La massima latina rispolverata da Marco Pannella dà il titolo al docu-film Spes contra spem – Liberi dentro, prodotto da “Nessuno tocchi Caino” e Indexway, presentato ufficialmente come evento speciale della rassegna veneziana nella Sala Pasinetti. Per 70 minuti a divenire attori protagonisti, detenuti condannati all’ergastolo e operatori penitenziari, a partire dal Capo del Dap Santi Consolo e dal direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano. Il motto tanto caro allo storico leader dei Radicali era contenuto nella Lettera di San Paolo ai Romani e rievocava l’incrollabile fede di Abramo, che sperava «contro ogni speranza». La pellicola vuole far conoscere chi vive quotidianamente la casa circondariale milanese, mostrando con chiarezza non solo un cambiamento interiore dei detenuti ma anche la rottura esplicita con logiche e comportamenti del passato e una maggiore fiducia nelle Istituzioni.Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino”, ha ricordato il grande legame di Marco Pannella con “detenuti e detenenti”, dal momento che era molto legato anche agli agenti di polizia. «Noi speriamo in un cambiamento e auspichiamo che questo laboratorio sperimentale possa raggiungere le altre case circondariali. Anche il regista, dopo le riprese, è una persona diversa rispetto a prima». Per il dirigente dei Radicali, reduci dal congresso ospitato proprio dal carcere di Opera, Spes contra spem è anche un «manifesto della lotta alla mafia, alternativo a Gomorra. Sullo schermo il libro di Roberto Saviano è stato trasformato ed è diventato la mitizzazione del giovane camorrista violento».Significativo e apprezzato l’intervento del ministro Andrea Orlando: «Dentro il carcere c’è umanità ma purtroppo non se ne parla abbastanza. Una cappa di silenzio gravita attorno a questo mondo, che non va demonizzato né umanizzato. Qui dentro ci sono persone che hanno tolto molto agli altri, e quindi devono scontare una pena, ma hanno fatto del male anche a loro stessi». L’esponente del Governo Renzi ha insistito sull’errata percezione collettiva: «È un esorcismo. Qui dentro si confinano le persone in modo che non possano più fare male a nessuno e si invocano pene sempre più dure come per un riflesso condizionato». Inevitabile un commento alla rivolta di Airola: «Si accendono le luci soltanto quando qualcosa non funziona. Dopo anni ci sono stati momenti di tensione in un carcere minorile. Nonostante la dinamica non fosse ancora chiara, opinionisti e sigle sindacali hanno già chiesto in coro di rivedere le norme. Eppure in questo ambito siamo già un’eccellenza, come dimostra il bassissimo tasso di recidiva dei giovani detenuti». Il docu-film proiettato a Venezia deve quindi contribuire a modificare la percezione del fenomeno: «La privazione della dignità porta soltanto alla reiterazione del reato e non rende certo più sicuri. Un carcere più umano è realizzabile ed è una battaglia da vincere dentro la società, dal momento che la promozione di norme che vanno verso la riabilitazione originano sempre una levata di scudi». L’ultimo riferimento alla lotta contro la pena di morte, altra priorità dei Radicali: «La loro battaglia ci rende orgogliosi di essere italiani. I paesi che la applicano sono scesi da 54 a 40, si va finalmente verso una moratoria internazionale. Anche fenomeni gravissimi e dolorosi non vanno combattuti così».Il regista Ambrogio Crespi ha voluto dedicare la pellicola al figlio Luca: «All’esterno del carcere si dà per scontato che chi è all’ergastolo non possa cambiare. Con calma e determinazione i protagonisti mi hanno trasferito una convinzione alternativa. Abbiamo incontrato i vertici del carcere di Opera e costruito un tempio in una cella. Sergio ha coinvolto nove detenuti, il loro cambiamento l’ho percepito e mi ha influenzato. Hanno tirato fuori la loro parte nera, hanno vissuto il male, la criminalità e hanno dato un messaggio forte contro la mafia».A dare un volto concreto alla speranza due detenuti, Roberto Cannavò, che da tempo racconta la sua esperienza nelle scuole, divenendo un esempio per i giovani, e Ciro Damola, che per l’evento lagunare ha ottenuto il suo primo permesso: «Il “fine pena mai” è molto duro. Per anni una barriera mi ha diviso dagli agenti, con i quali oggi ho instaurato invece un rapporto inaspettato. Adesso ho paura di commettere un’infrazione, anche perchè gli ergastolani non evadono ma sfruttano la seconda possibilità, se gli viene concessa».