La giustizia contemporanea ha la forma di una telecamera di sorveglianza scavata nel marmo. La vede così Ai Weiwei, l’artista cinese dissidente che ha realizzato la sua Surveillance Camera dopo aver passato 81 giorni in prigione, confinato in una località segreta. La sua opera è una delle tre che la Fondazione Berengo ha prestato al Museo Correr di Venezia per la mostra “Imago Iustistiae. Capolavori attraverso i secoli” a cura di Marina Mattei, che resterà aperta al pubblico fino al 3 settembre 2023.

Quello di Ai Weiwei è il punto di arrivo: con lui l’occhio bendato della Giustizia non è più simbolo di imparzialità, come non lo era neanche in origine. Nella storia dell’arte la benda è arrivata solo dopo la bilancia e la spada, e non per sottolineare una virtù: la giustizia che non fa distinzioni è «un’elucubrazione umanistica assai recente», secondo lo storico dell’arte Erwin Panofsky. Prima del 1500 invece la benda è segno di sfiducia e disaffezione, una giustizia cieca per rabbia che “non guarda in faccia nessuno”, come scrive Edgar Lee Masters nell’Antologia di Spoon River.

Niente a che vedere con La Giustizia di Giorgio Vasari, dipinta dall’artista durante il soggiorno veneziano di metà ‘500. C’è una donna che si volta di spalle, forse in segno di imparzialità. Alla sua sinistra ci sono due magistrati romani con i fasci littori che personificano la giustizia militare, alla destra un’immagine incoronata, Salomone o Traiano. In questo caso la giustizia sfila come virtù sotto gli occhi di chi visita, ma nella mostra di Venezia l’iconografia attraversa i secoli cambiando forma, supporto e significato.

Le sei sezioni che compongono l’allestimento percorrono la rappresentazione della giustizia nell’arte dagli albori della civiltà fino all’età moderna. Si parte da reperti archeologici, monete e medaglie. Si passa alle opere su carta, legno, tela e tavola. Ci sono i lavori di Guercino - con la sua tela Allegorie della Giustizia e della Pace -, Andrea Del Sarto, Matini, Nani, Reni, Sansorvino, Maccari e un bulino di Raffaello. Da personificazione e allegoria della stessa città di Venezia, la Giustizia lascia il posto ai simboli che la rendono unica e riconoscibile. Per prima la bilancia, il più antico degli attributi, che risale al cerimoniale della dea egizia Maat: la “pesatura del cuore” o “pesatura dell’anima” a cui veniva sottoposto il defunto prima di poter accedere all’aldilà. Perfetta espressione di equilibrio e armonia, la bilancia sta solitamente nella mano sinistra. Nella destra invece la Giustizia impugna la spada: è il potere del giudizio, il mezzo per comminare la pena. Entrambi i simboli tornano ne La Giustizia Corporativa, un grande altorilievo realizzato da Arturo Martini nel 1937 per il Palazzo di Giustizia di Milano e qui riproposto in dimensioni ridotte. Si tratta di una figura ieratica, una Giustizia che «non guarda nessuno e vede tutto, mentre l’umanità sogna e lavora, medita e s’affanna, lotta ed ama, attorno al tronco su cui ella è seduta, dell’albero della scienza, del bene e del male», dice Riccardo Bacchelli nel 1937. Già per Aulo Gellio, giurista e scrittore latino del II secolo d.C, la giustizia è una giovane donna dall’aspetto solenne e severo, «vergine poiché incorruttibile, volitiva poiché non conosce cedimenti, austera poiché non lascia spazio a preghiere o lusinghe, temibile poiché nemica implacabile con chi sceglie di non rispettarla».

Ma espressione della giustizia sono anche i luoghi costruiti per praticarla e amministrarla, gli schemi decorativi che ricorrono nel tempo per celebrarla, e le azioni volte al raggiungimento del suo scopo. È il caso della sezione V, dove la figura di Cesare Beccaria riassume l’attività di intellettuali, giuristi e letterati che si sono battuti per l’abolizione della pena di morte. Il percorso della mostra inizia dalla sala della Biblioteca Pisani del Museo Correr, le cui pareti sono interamente rivestite da librerie in radica di olmo e ospitano pregiate edizioni storiche. E si chiude “con una serie di scene che mostrano atti e protagonisti di Giustizia, immortalati come eroi e santi”.

L’antico diventa contemporaneo con l’opera dell’artista belga Koen Vanmechelen, che con Socrates Temptation scolpisce nel marmo le tribolazioni del filosofo greco, affiancato da un Ibis: l’uccello venerato come simbolo del dio Thot, divinità del Sapere nell’Antico Egitto.

In Cardiac Arrest, l’artista sudafricano Kendell Geers arrangia in forma di cuore dei manganelli di vetro, duplicati al centro della figura per formare delle croci: sono simboli fragili e potenti, violenti e protettivi. In cerca di equilibrio, come lo è da sempre la Giustizia, che si trasforma nei secoli ma non smette di cercare l’armonia. «Per chi è accusato è meglio muoversi che star fermi, perché quello che sta fermo può trovarsi su una bilancia ed essere pesato con tutti i suoi peccati», scrive Kafka ne Il processo. Alla Giustizia, invece, spetta il trono.