È la storia di un disastro investigativo, il fermo immagine della sgangherata giustizia italiana: un po' cialtrona e un po' autoritaria. C'è il caos sulla scena del crimine e gli schiaffoni in questura; c'è l'arbitrio degli investigatori sedotti dalle loro stesse "intuizioni" e i giornalisti accampati notte e giorno sulle scale della procura in attesa del boccone da acchiappare al volo per farlo ingollare alla pubblica opinione. Poi c'è una vittima, Meredith Kercher, una ragazza di vent'anni sgozzata come un vitello. E la presunta colpevole: la sua coinquilina Amanda Knox, la biondina americana col viso d'angelo. Un "angelo seducente": l'assassina perfetta.Il documentario su Amanda che Netflix ha pubblicato on line in questi giorni, è il ritratto impietoso sul nostro sistema giudiziario. Ma a ben vedere il protagonista indiscusso di questa ora e mezza di docu-film, non né Amanda né Meredith ma il pm di Perugia che in quei giorni è "inciampato" sul delitto del secolo, come allora lo definì la stampa americana, sempre più preoccupata di capire in che razza di sistema giudiziario fosse incappata la propria concittadina: «Bhè, sapete, siamo in Italia», spiegavano ridacchiando gli esperti legali invitati nei talk show americani che si occupavano del caso.Ma torniamo in Italia, dal nostro investigatore, e al documentario di Netflix: «Io ho sempre avuto una grande passione per l'investigazione. Mi piacciono molto i film gialli e Sherlock Holmes perché sa cogliere particolari che sembravano insignificanti», spiega il pm fissando in modo grave la telecamera e avvicinando la pipa alla bocca.E c'è un primo particolare apparentemente insignificante che allora - è la mattina del 2 novembre 2007 - il nostro pm colse immediatamente osservando per la prima volta la scena del crimine. Il piumone che copriva "pudicamente" il corpo massacrato di Meredith non era lì per caso. C'era una ragione, una spiegazione. Quel gesto di pietà era un indizio: «Perché la ragazza è stata coperta? », si domanda retoricamente il pm. Risposta: «Una donna che abbia partecipato a un delitto tende a coprire il corpo di un'altra donna. A un uomo non verrebbe mai in mente... ». Ed ecco dunque il primo tassello dell'indagine. Un tassello che l'investigatore ritiene fondamentale: grazie a questa sottile intuizione una buona metà dei presunti colpevoli - la metà maschile - viene infatti tolta di mezzo. Dunque inizia la caccia alla donna che prima ha sgozzato Meredith e poi ha coperto delicatamente il di lei corpo. E la prima donna che si affaccia sul luogo del delitto è proprio Amanda, e non poteva essere altrimenti visto che era la coinquilina di Meredith.Il secondo tassello, invece, è una visione, un'immagine sbirciata di nascosto ma gravida di significati: «Dal primo momento - spiega il pm ai documentaristi di Netflix - vidi i due ragazzi (Raffaele e Amanda) che si consolavano, si lasciavano andare a effusioni. Ma erano distonici rispetto al momento». Dunque, immaginiamo la scena: la casa del delitto è invasa da poliziotti e investigatori che cercano di isolare le prove. Lì fuori, nel giardino della villetta, ci sono Amanda e il suo fidanzato, Raffaele Sollecito. I due sanno che lì dentro c'è il corpo martoriato della loro amica. I due si abbracciano, si consolano a vicenda. L'intera scena è ripresa delle telecamere ed è evidente che in quelle carezze non c'è nulla di distonico se non la volontà di stare vicino l'un l'altro in un momento così terribile. Ma il pm ci vede qualcos'altro: quelle effusioni sono il segno inequivocabile di una "moralità" deviata.Ma c'è un terzo definitivo tassello, c'è un momento esatto in cui nella mente di chi indaga, quell'angelo biondo si trasfigura e diventa un diavolo. Quando, a poche ore dall'omicidio, portarono Amanda nella casa del massacro, lei iniziò a piangere e ad urlare: «Cominciò a sbattere le mani sulle orecchie come se ci fosse il ricordo di un suono, di un dolore, di un grido: il grido di Meredith». Insomma, secondo la terza e definitiva intuizione del pm quel pianto serviva a coprire le urla strazianti di Meredith che come fantasmi affollavano e tormentavano la mente omicida di Amanda. «Da quel momento - spiega ancora l'investigatore - io cominciai a pensare a lei... ».Non solo: nel primo interrogatorio (24 ore passete sotto torchio in questura) il nostro pm che oramai è convinto della colpevolezza della ragazza, coglie un tratto del carattere di Amanda che, in qualche modo, conferma la sua tesi, le sue intuizioni, il suo teorema. «Amanda è una ragazza suscettibile - spiega sorpreso - non sopporta di essere messa in discussione, c'è un atteggiamento di tendenziale ostilità e di ribellione verso l'autorità. Insomma, è un po' anarcoide». E poi: «Non so se a Seattle (città natale di Amanda, ndr) c'è un atteggiamento del genere. Non so, può darsi?». A questo punto gli indizi ci sono tutti: la donna bella e diabolica, la moralità deviata e il disprezzo per l'autorità (tipico degli abitanti di Seattle). Tutto torna. Manca solo qualche inutile e seccante particolare: le prove. Ma tanto basta per portare Amanda e processo con l'accusa di aver ammazzato Meredith con l'aiuto del suo fidanzato, Raffaele Sollecito.Il resto è storia è nota. Dopo otto anni di processi e cinque sentenze, Amanda e Raffaele vengono assolti. Le motivazioni della Cassazione smontano pezzo per pezzo l'indagine parlando «di clamorose defaillance». Di «amnesie investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine». E secondo i giudici quel disastro investigativo è dovuto soprattutto alla «spasmodica ricerca di colpevoli da consegnare all'opinione pubblica internazionale».Risultato: le vite di Amanda e Raffaele sono state distrutte e il pm con la passionaccia per Sherlock Holmes continua a indagare su nuovi misteriosi casi?Ps: nel dicembre del 2015 la Sezione disciplinare del Csm ha inflitto la sanzione della censura a Giuliano Mignini, il pm che ha condotto le indagini per l'omicidio di Meredith Kercher. La condanna è legata al fermo di Raffaele Sollecito e in particolare al divieto di conferire con il difensore che Mignini emise solo oralmente e non con un provvedimento scritto, come previsto dalle norme. Mignini fu difeso dall'attuale presidente dell'Anm: Piercamillo Davigo.