Era leggera come i pensieri Sandra Milo, si posava sulle cose e sulle persone senza schiacciarle, mai, lasciando dietro di sé una scia allegra e gentile che ti lasciava disarmato.

Un’Afrodite del boom economico, lontana anni luce dalle pose autoriali di tante sue colleghe, pur avendo lavorato con i monumenti del nostro cinema, da Roberto Rossellini a Federico Fellini. E recitato in capolavori assoluti come Il generale della Rovere, Otto e mezzo, Giulietta degli spiriti. 

Tra le dive della sua generazione, da Sofia Loren a Silvana Magano, da Gina Lollobrigida a Claudia Cardinale, a Monica Vitti, Sandra Milo forse era la meno “attrice”, la meno pretenziosa e intensa, con nessuna ambizione di incarnare il ruolo di star nazional-popolare.

Nemmeno l’occhio ribaldo della macchina da presa riusciva a trasfigurarla in qualcun’ altra, perché lei rimaneva, immancabilmente, se stessa. Giocando e divertendosi da morire con i propri vezzi, le proprie civetterie, con quella voce infantile, con quell’aria da finta svampita, che rappresenta il suo modo, unico, di essere una donna libera.

Uno dei grandi paradossi della sua carriera e del suo rapporto con l’ego ipertrofico e un po’ manipolatore dei cineasti sta nello iato tra l’immagine di sprovveduta e questo non lasciarsi plasmare, loro che, da novelli Frankenstein, maneggiano gli attori come plastilina o come «bestiame» per dirla con Antonioni, con lei sapevano che non avrebbe mai funzionato, che l’ironia e la leggerezza sono antidoti alla morbosa gravità di chi sa solo prendersi sul serio.

Sandra Milo, invece, si prendeva in giro, costantemente, un folletto che ti gira intorno e che non riesci mai del tutto ad afferrare, come se fosse fatta di un’altra sostanza, di materia sognante, lei che si presentava allo sguardo imponente e procace, sapeva anche essere una creatura rarefatta e proteggere la sua spiritualità.

Negli ultimi anni della sua vita, scherzando con i giornalisti affermò di potere «parlare con gli angeli». Non è un caso che abbia stregato il visionario Fellini tutto immerso nella sua cosmogonia di archetipi femminili, al punto da passare alla storia come «la sua musa», un’espressione che lei non ha mai amato ma che ha accettato senza polemiche. Il suo femminismo non era fatto di slogan e di intemerate retoriche ma si incarnava nella libertà, estrema, di giocare con il cliché della frivola “senza cervello” e della maggiorata “ad alto voltaggio”, per questi tratti quasi sociologici da immaginario collettivo Sandra Milo è stata la nostra attrice che più somiglia a Marylin, snobbata dai critici e ridotta a uno stereotipo. Ma a differenza della povera Norma Jane, triturata dall’industria di hollywood e dalla cattiveria degli intellettuali, lei ha saputo difendersi con ironia dalle malelingue. Amando e tradendo senza mai smarrire il buonumore e non facendosi mai condizionare da nessuno.

Quello con Federico Fellini è stato un grande amore, «un amore assoluto l’unico della mia vita», e anche l’unico ad averla trattata con gentilezza e garbo: «È il solo uomo che non mi ha mai picchiata, era un uomo fantastico che seduceva tutti». È stata la sua amante clandestina, per 17 anni, la relazione iniziò durante le riprese di Otto e mezzo non nell’ambiente era un mistero per nessuno, nemmeno per la moglie Giulietta Masina per la quale Milo provava un affetto sincero, tentando di costruire una specie di famiglia allargata ante litteram in un’Italia che per certi versi sembrava molto più tollerante e meno bigotta di quella di oggi.

Negli anni 70 abbandona il cinema, e lo fa per tutto il decennio, ritornando alla ribalta negli 80, edonisti e leggeri come lei, diventando un volto del piccolo schermo e delle nascenti tv commerciali. È stata anche l’amante di Bettino Craxi, all’epoca il politico più influente del Paese, «uomo colto, intelligente e appassionato, ero sessualmente pazza di lui», un rapporto durato tre anni che non ha mai nascosto fregandosene di scandali e cattiverie.