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"Questi fantasmi!" di Eduardo De Filippo per la regia di Marco Tullio Giordana, è in scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 21 gennaio. Il capolavoro eduardiano è presentato e prodotto da Elledieffe - la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi. La commedia è interpretata da Gianfelice Imparato, Carolina Rosi, Nicola Di Pinto, Massimo De Matteo, Paola Fulciniti, Giovanni Allocca, Gianni Cannavacciuolo, Viola Forestiero, Federica Altamura, Andrea Cioffi. La messa in scena restituisce il senso di una grande armonia ed equilibrio degli interpreti che seguono non solo i valori attoriali della tradizione teatrale eduardiana ma disegnano anche una personale e riuscita prova dei rispettivi ruoli, sotto il segno della lucida e intelligente regia di Giordana. Nell’allestimento al Bellini si confondono sul palcoscenico diverse generazioni di attori: insieme a Gianfelice Imparato, nell’eccellente e brillante ruolo di Pasquale Lojacono, spiccano Carolina Rosi nel ruolo della moglie Maria, un Nicola Di Pinto strepitoso nel ruolo del portiere alias anima nera, un sempre più bravo Massimo De Matteo nelle vesti di Alfredo Marigliano, l’amante (anima irrequieta), Giovanni Allocca nel ruolo di Gastone Califano, ed ancora Paola Fulciniti e Gianni Cannavacciuolo, fino ai giovanissimi Viola Forestiero, Federica Altamura, Andrea Cioffi. «Ho deciso di affidare il testo – sottolinea Carolina Rosi – alla preziosa ed attenta regia di Marco Tullio Giordana, sicura che ne avrebbe esaltato i valori ed i contenuti, che avrebbe abbracciato la compagnia e diretto la messinscena con lo stesso amore con il quale cura ogni fotogramma». Obiettivo raggiunto. Scritta nel 1945, “Questi Fantasmi” è una delle commedie più importanti di Eduardo e tra le prime opere del grande drammaturgo ad essere rappresentata all’estero (nel 1955 a Parigi, al Théâtre de la Ville – Sarah Bernhardt). “I fantasmi non esistono, li abbiamo creati noi, siamo noi i fantasmi…”. Questa la famosa battuta rivolta da Pasquale Lojacono al dirimpettaio professor Santanna, alter ego che non compare mai ed è il filo conduttore delle paure, delle aspirazioni e perfino delle meschinità (il tradimento accettato in cambio di denaro) del protagonista. Lojacono-Imparato, infatti, è un uomo che per necessità economiche accetta di trasferirsi con la moglie in una casa che, secondo le dicerie popolari, è abitata da fantasmi. Costretto dall’indigenza, e pur di assicurare un certo tenore di vita alla moglie Maria (Carolina Rosi), accetta la benevolenza del finto fantasma Alfredo, l’amante della moglie. Il quale a sua volta, pur di vivere la sua storia d’amore, vaga per la casa lasciando al marito soldi in più posti. La drammaturgia eduardiana segue un ritmo sempre preciso, dove la vita viene messa “fra parentesi, sostituita da un’immagine, da un travestimento, da una maschera, imposta agli uomini dalle circostanze”. Echi pirandelliani, dunque che tuttavia, a pensarci bene rispecchiano anche la nostra vita per tutte le volte in cui vogliamo credere alle illusioni, alle cose che non esistono, deleghiamo agli altri le soluzioni, pur di convincerci che le cose vanno bene. Il curato allestimento scenografico ripropone il palazzo storico dello Spagnuolo alla Sanità, compresi i balconcini da cui si affaccia Pasquale Lojacono per testimoniare ai vicini, soprattutto al professor Santanna, che i fantasmi non ci sono in casa e da dove intesse il dialogo sulla preparazione del caffè: la famosa scena del “cuppitiello” sul beccuccio della macchinetta napoletana per descrivere il rito del caffè. Scena diventata ormai universale. Tra i personaggi colpisce Carolina Rosi nel ruolo di Maria, donna-moglie elegante ma triste, che vive accanto a un marito inconcludente. L’attualità della commedia sta nel fatto che restituisce la Napoli del dopoguerra ma non risparmia la contemporaneità dove disinvoltura morale , capacità di arrangiarsi e furbizia bugiarda si mischiano in tipologie umane che ancora abitano il nostro vivere quotidiano, nelle quali ci si imbatte continuamente. Qui sta anche la grandezza delle opere eduardiane attraversate dal tempo ma perennemente intrise di contemporaneità. Ha ragione Giordana quando scrive nelle note di regia: “La grandezza di Eduardo sta nel non ergersi a giudice, nel non sentirsi migliore di noi, di loro. Non condanna né assolve, semplicemente rappresenta quel mondo senza sconti e senza stizza. Il suo sguardo non teme la compassione e rifiuta la rigidità del moralista”. Non era semplice, è la lezione di Carolina Rosi: «Ma niente è semplice». Neanche la vita.