“Popsophia. Festival del contemporaneo", che chiude domani a Pesaro nella suggestiva Rocca Costanza, è ormai diventato una consolidata occasione annuale di confronto fra filosofi, ma anche di divertimento intelligente e non effimero per persone colte e meno colte. Le scelte, sia dei temi degli incontri sia dei protagonisti, sono fatte sempre con molta attenzione al “progetto ideale” che sta dietro l’idea di una Popsophia: cioè far dialogare la filosofia con la cultura di massa, senza le puzze sotto il naso degli intellettuali (nessuna nostalgia e nessuna vetusta critica francofortese all’“industria culturale"!). L’intento è soprattutto quello di contaminare, e fare uscire trasformate dall’incontro, non solo la filosofia e le varie scienze sociali e “culturali” (i cosiddetti cultural studies), ma anche le stesse pratiche simboliche e culturali che riempiono la nostra vita e il nostro mondo quotidiano. Intenzione è poi anche quella di alternare i grossi nomi, che hanno ovviamente appeal presso il pubblico, con studiosi, per lo più giovani, di solida preparazione intellettuale e forte originalità di pensiero. L’anima organizzativa, ma direi anche e soprattutto teorica, del festival è la giovanissima Lucrezia Ercoli, marchigiana laureata a Roma col compianto professor Elio Matassi, autrice già di diversi e solidi libri di argomento filosofico. A lei si deve la scelta del tema di quest’anno, "Il ritorno della Forza", che allude, da una parte, alla saga di Guerre stellari e, dall’altro, ai nostri tempi bellicosi e alla necessità di pensieri forti che siano capaci di stare alla loro altezza.Anche io ci sarò: parlerò domenica sera del concetto di “dubbio” insieme ad Angela Azzaro e al presidente dell’Ordine degli avvocati di Pesaro, Danilo Del Prete, che ha anche organizzato l’incontro in collaborazione con il festival. Essendo ormai un “veterano” di Popsophia, oltre a invitarvi a passare per Pesaro se siete da quelle parti (sono sicuro che non rimarrete delusi), vorrei approfittare qui un attimo della vostra pazienza per dirvi qual è il senso che io do a questa strana creatura che si chiama “Popsophia” e che Lucrezia Ercoli ha evocato chissà da quali abissi in cui era da tempo sprofondata (almeno stando a quanto pensa Umberto Curi, uno dei protagonisti della kermesse pesarese, che non perde occasione per dirci che la filosofia, nel mondo classico, è nata proprio come “Popsophia”: nella pubblica piazza e non nelle accademie). Ovviamente non pretendo che il senso che mi son costruito io della faccenda possa valere anche per altri, né tanto meno per gli organizzatori, anche perché la mia formazione filosofica è molto distante dalla loro. Tuttavia, come è stato anche scritto, il concetto è abbastanza largo per accogliere diverse declinazioni senza che il nucleo centrale concettuale ne venga intaccato più di tanto. Provo perciò anche io a dire la mia. Ultimamente, nel ristretto (me anche molto ideoligizzato) sistema filosofico-mediatico italiano ha destato un certo interesse l’elaborazione, da parte del filosofo napoletano Roberto Esposito, della cosiddetta Italian Theory. Secondo Esposito, la filosofia italiana avrebbe una marcia in più, soprattutto attualmente, perché, tenutasi al margine del filone gnoseologico-epistemologico che ha dominato l’età moderna, oggi che quel paradigma è in qualche modo imploso essa si troverebbe più preparata di altre perché da sempre ha commerciato con ciò che limita e contamina la “purezza” della filosofia-epistemologia: la vita, la storia, la politica. Il limite di questo discorso, in sé condivisibile, è che è però ancora un discorso da filosofo: riconosce il limite della disciplina ma non compie il salto che trasforma il filosofo in senso classico in un cultore dell’immanenza, in un decifratore dei labili pragmata del mondo umano senza nessuna nostalgia o separatezza dal mondo comune della cultura e della vita. Un non filosofo per troppa filosofia; oppure, se preferite, un filosofo nel preciso senso in cui lo è in definitiva ogni uomo. Giusto un secolo fa, nel 1915, Benedetto Croce, dopo una fitta serie di ragionamenti, tutti compiuti in punta di stringente logica filosofica, giungeva ad augurarsi la scomparsa del “puro filosofo”, come lo chiamava, in modo che, dissolvendosi la stessa filosofia nelle discipline o attività particolari, gli studiosi tutti, e in genere tutte le teste pensanti, potessero finalmente diventare «consapevoli e disciplinati filosofi; e il filosofo in generale, il purus philosophus non trovi più luogo tra le specificazioni professionali del sapere». In quelle stesse pagine, sarcasticamente, come a volte era uso fare, Croce, quasi a voler ricalcare il concetto, scriveva: «purus philosophus, purus asinus»P. S.: Le notizie e il programma completo dell’edizione 2016 di Popsophia le trovate qui: http: //www. popsophia. it/