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Miglior film, migliore regia, miglior attrice protagonista. Il favorito «Nomadland» di Chloè Zhao è l’asso pigliatutto della 93esima edizione degli Oscar. Mette d’accordo bookmaker e "rivoluzionari". È il primo film di un’asiatica-americana a vincere, il secondo diretto da una donna celebrata come miglior regista (dopo Kathryn Bigelow). Nata a Pechino nel 1982, Zhao è cresciuta negli Stati Uniti, dove ha studiato cinema alla New York University Tisch School of Arts. La sua vittoria sembra uno schiaffo al governo cinese che ha ordinato ai media di oscurare l’evento dopo le critiche della regista. Un segno dei tempi, per la prima volta da mezzo secolo, a Hong Kong non hanno potuto seguire la cerimonia degli Oscar in diretta dal Dolby Theater e dalla Union Station di Los Angeles. Per il secondo anno di fila, dopo «Parasite» del sudcoreano Bong Joon-ho, l’Oscar va a una storia che ruota intorno alla crisi economica. «Nomadland» è la parabola di una donna (altra rarità per un trionfo agli Oscar), Fern (Frances McDormand), sulla sessantina, che dopo aver perso il marito e il lavoro a causa della Grande Recessione, decide di tentare la vita «on the road», da nomade, sulla via dei pionieri verso Ovest. È un viaggio nell’America persa, e non un kolossal che celebra i valori della cultura americana. È una storia scritta da una donna, basata su un libro di Jessica Bruder. «Per favore guardate il film su uno schermo il più grande possibile e portate tutti quelli che conoscete a vedere i film premiati quest’anno», dice Frances McDormand, prima di mettersi ad ululare sul palco «come i lupi». Per lei è la terza statuetta, solo Meryl Streep, Daniel Day Lewis e Jack Nicholson sono riusciti a fare la tripletta. Il record resta quello di Katharine Hepburn che di Oscar ne ha ottenuti 4. «Non ho parole, la mia voce è la mia spada e sappiamo che il nostro lavoro è la nostra spada. Grazie di averlo riconosciuto», conclude McDormand che ha anche prodotto il film. Tra le diverse «prime volte» al femminile di questa inedita edizione degli Oscar post-pandemici, spicca Yuh-Jung Youn, interprete nel film «Minari», prima coreana a vincere come migliore attrice non protagonista. «Sono qui e ancora non ci credo. Lasciate che rimetta i miei pezzi insieme. È tutto così irreale. Grazie all’Academy», è stato il suo discorso della vittoria. Per la miglior sceneggiatura il premio è andato ad un’altra donna, Emerald Fennell, per la commedia noir «Promising Young Woman», come non accadeva dal 2007. Anche il momento più intenso della serata è stato regalato da una donna: il balletto di Glenn Close. Si infrangono invece i sogni dell'Italia. Nessuna statuetta della 93esima edizione degli Oscar approda nello stivale. La delusione più grande è quella per Laura Pausini. La cantante, in nomination per la canzone originale di "La vita davanti a sé" di Edoardo Ponti "Io sì", scritta con Diane Warren, era fra i favoriti ma non è riuscita a conquistare l’ambito premio. Tutta l’Italia aveva vissuto con lei l’emozione, la speranza. Soprattutto visto che poche settimane fa era già riuscita a conquistare il Golden Globe, da sempre anticipazione degli Oscar. E invece, niente di fatto. Se non la soddisfazione di essere arrivata fin lì e di avere potuto esibirsi, insieme a Diane Warren al pianoforte, sulla terrazza del nuovo Academy Museum of Motion Pictures di Los Angeles, che aprirà a settembre. E anche quella di essere stata in nomination con una canzone in italiano, per la prima volta nella storia. E infatti, come sempre, Laura reagisce con allegria: «Aver fatto parte di un progetto così speciale come ’The Life Ahead’ con Edoardo Ponti e Sophia Loren è stato per me uno dei regali più grandi che la vita potesse farmi. Aver cantato IO SI sul palco dell’Academy è un sogno che mai avrei potuto mai sperare si avverasse ancora di più in un’edizione così storica», scrive su Facebook spiegando di essere «felice di aver vissuto un’esperienza irripetibile nata per un messaggio importante che condivido completamente e per la grande passione che dopo ventotto anni ho ancora per la musica che non è solo il mio lavoro, ma è la mia vita. Torno in Italia felice di riabbracciare la mia bimba che mi aspetta e con la quale festeggeremo di ritrovarci dopo la prima settimana di lontananza della nostra vita. Ma le racconterò il sogno di una notteà.incredibile!». E poi posta una sua foto con in mano un hamburger e scrive: «Nella seconda foto puoi vedere come finiscono di solito le serate delle mie nomination!». Delusione anche per gli altri italiani candidati per il film di Matteo Garrone "Pinocchio". La pellicola correva per i migliori costumi con Massimo Cantini Parrini e per il miglior trucco e acconciature con Mark Coulier, Dalia Colli e Francesco Pegoretti. In entrambe le categorie ha invece trionfato "Ma Rainey’s Black Bottom". E se per i premi non c’è stato nulla da fare, di Italia però ce n’è stata tanta durante la serata. A partire, ovviamente, come sempre, dall’alta moda. La gran parte degli abiti che hanno sfilato sul red carpet provenivano dal Belpaese: Armani, Valentino, Prada, Dolce & Gabbana. Senza tralasciare il ricordo degli italiani illustri del mondo del cinema scomparsi quest’anno: il compositore Ennio Morricone, il produttore Alberto Grimaldi e il direttore della fotografia Giuseppe Rotunno. E poi l’omaggio di Laura Dern che, consegnando la statuetta per il miglior film internazionale, ha raccontato: «Quando ero piccola mia mamma, che era un’attrice, mi ha portato al cinema a vedere "La strada" di Federico Fellini. Voleva condividere con me una delle interpretazioni più fantastiche di sempre, quella di Giulietta Masina. Non solo le parole, ma il linguaggio del cinema mi hanno trasformata per sempre. E ho scoperto anche che "La strada" fu il primo film a vincere l’Oscar in questa categoria (nel 1957, ndr)».