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Don DeLillo, newyorchese, nato nel 1936 da genitori molisani, ha interpretato la letteratura americana dandole una voce personalissima, piegandola alla sua versatilità espressiva e alle sue ossessioni. Nel 1971 pubblica il primo libro, Americana. Nel 1985 vince il National Book Award con Rumore Bianco. David Foster Wallace lo ha sempre indicato come lo scrittore di cui ha subito maggiormente l'influenza. Jennifer Egan ha dichiarato che «tra centinaia di anni, ammesso che l'umanità non si sia estinta e continui a leggere libri, se qualcuno vorrà capire cos'era la vita in Occidente tra la fine del ventesimo secolo e l'inizio del nuovo millennio non avrà modo migliore per farlo che leggere i romanzi di Don DeLillo». Oggi, alle 17, Don DeLillo sarà a Roma, alla Sala Petrassi dell'Auditorium, a dialogare con Antonio Monda del suo nuovo romanzo Zero K, uscito l'11 ottobre nei Supercoralli Einaudi e mirabilmente tradotto da Federica Aceto. Candidato al Premio Nobel per la Letteratura, notoriamente schivo, si dice vada in giro con un biglietto da visita che recita "I don't want to talk about it": non voglio parlarne. Di rado concede interviste, non ha una casella e-mail e non possiede un telefono cellulare. Durante il tour promozionale per il suo ultimo romanzo la sua preoccupazione più pressante è stata quella di perdere la voce.Gli ci sono voluti quattro anni per scrivere Zero K: un romanzo che parla di morte, della fine delle parole - potentemente restituita nella scena finale del libro -, di crioconservazione, di memoria, di tempo, ovvero i temi che da sempre permeano la narrativa del settantanovenne scrittore newyorchese. Stavolta, tuttavia, l'atmosfera e la cornice in cui sono stati calati questi argomenti è delillianamente distopica: in più di un senso, è il suo romanzo più ricco ma anche il più algido, come se lo sguardo distaccato dell'autore abbia voluto in modo del tutto consapevole impedire una qualsiasi identificazione tra personaggi e lettori. In un'intervista al Financial Times in cui si chiedeva a DeLillo, che ha quasi ottant'anni, se ci fosse qualche implicazione autobiografica nel trattare certe tematiche, l'autore ha risposto: «È solo fiction. La fiction si inventa». Uno dei pochi elementi di realtà, in effetti, in Zero K è la guerra tra Ucraina e Russia, e l'unico personaggio che gli si è materializzato davanti agli occhi in un istante - a fronte dei suoi quattro anni di lavoro sul romanzo - è stato proprio l'adolescente ucraino adottato da una coppia statunitense e trasferito in America in giovanissima età. La sua capacità di prevedere il verificarsi di eventi storico-politici di portata epocale viaggia di pari passo con la sua reputazione, ed è puntualmente tenuta sotto osservazione dai critici: «Faccio del mio meglio per evitare di sapere quale dovrebbe essere la mia reputazione», ha dichiarato DeLillo sempre al Financial Times. Zero K è la storia di Jeff, figlio di Ross Lockhart, un magnate che sceglie di seguire la propria moglie, molto malata, optando per la crioconservazione del corpo. Procedimento, questo, che sarà effettuato a Convergence, futuristica azienda tecnologica di cui Ross è finanziatore, situata in un luogo segreto del Kazakistan. Jeff ha, a sua volta, una compagna il cui figlio adottivo - al quale si accennava poc'anzi - è scomparso e il cui marito non è mai del tutto sparito dalla sua vita. Per Jeff è forse l'occasione per recuperare il rapporto con suo padre, per DeLillo è stato probabilmente il pretesto letterario per ricucire - emblematicamente - il passato con il presente e consegnarli al futuro: un futuro inquietante, in cui le persone si esibiscono in monologhi, più che in conversazioni, in cui le immagini o le esclamazioni onomatopeiche si sostituiscono alle parole, in cui la ricchezza rischia di potersi comprare la vita eterna. La lucidità con cui l'autore descrive questa sorta di distopia è inversamente proporzionale alla verosimiglianza relativa ai processi di crioconservazione: DeLillo non sembra essere tanto interessato ad approfondire le tecniche, quanto a utilizzare la crioconservazione stessa come topos letterario. «Quello che tento di fare sempre, ovunque mi trovi, qualsiasi cosa stia facendo, è guardare le cose con chiarezza, il che può non essere così semplice come sembra», ha dichiarato DeLillo. «Tutto può cambiare, a seconda della situazione, dei personaggi, del tipo di giornata che sto vivendo».Ciò che non cambia mai, nella sua scrittura, è il modo di procedere nella stesura di un romanzo: un lavoro che si costruisce giorno per giorno. Non scrive avendo già tutto in testa, DeLillo, tantomeno come andrà a finire il suo romanzo: «Praticamente non so nemmeno come iniziare, quando comincio a scrivere, figurarsi se ho idea di quello che potrebbe succedere». Di rado DeLillo si concede al pubblico. Quella di oggi pomeriggio alla Festa del Cinema di Roma è la prima delle tappe italiane: la seconda e la terza a Torino - il 24 ottobre al Circolo dei Lettori, alle 21, e il 25 ottobre alla Scuola Holden alle 10.30 - infine il 26 ottobre a Genova, presso il Salone di Maggior Consiglio del Palazzo Ducale, alle 20.45. Imperdibili.