Al Partito della Democrazia CristianaDopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche, ma sostanzialmente negative posizioni della DC sul mio caso, non è accaduto niente. Non che non ci fosse materia da discutere. Ce n'era tanta. Mancava invece al Partito, al suo segretario, ai suoi esponenti il coraggio civile di aprire un dibattito sul tema proposto che è quello della salvezza della mia vita e delle condizioni per conseguirla in un quadro equilibrato. È vero: io sono prigioniero e non sono in uno stato d'animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, un altro e non merito di essere preso sul serio. Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l'onesta domanda che si riunisca la direzione o altro organo costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua invece in degradanti conciliaboli, che significano paura del dibattito, paura della verità, paura di firmare col proprio nome una condanna a morte.E devo dire che mi ha profondamente rattristato (non avrei creduto possibile) il fatto che alcuni amici da Mons. Zama, all'avv. Veronese, a G. B. Scaglia ed altri, senza né conoscere, né immaginare la mia sofferenza, non disgiunta da lucidità e libertà di spirito, abbiano dubitato dell'autenticità di quello che andavo sostenendo, come se io scrivessi su dettatura delle Brigate Rosse.Perché questo avallo alla pretesa mia non autenticità? Ma tra le Brigate Rosse e me non c'è la minima comunanza di vedute.E non fa certo identità di vedute la circostanza che io abbia sostenuto sin dall'inizio (e, come ho dimostrato, molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, uno scambio di prigionieri politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza, ma vivo, l'altro viene ucciso. In concreto lo scambio giova (ed è un punto che umilmente mi permetto sottoporre al S. Padre) non solo a chi è dall'altra parte, ma anche a chi rischia l'uccisione, alla parte non combattente, in sostanza all'uomo comune come me.Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, una volta tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso è tutto qui. Su questa posizione, che condanna a morte tutti i prigionieri delle Brigate Rosse (ed è prevedibile ce ne siano) è arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la DC, sono arroccati in generale i partiti con qualche riserva del Partito Socialista, riserva che è augurabile sia chiarita d'urgenza e positivamente, dato che non c'è tempo da perdere. In una situazione di questo genere, i socialisti potrebbero avere una funzione decisiva. Ma quando? Guai, Caro Craxi, se una tua iniziativa fallisse.Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila come filavano i miei ragionamenti di un tempo.Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della DC che in moltissimi casi scambi sono stati fatti in passato, ovunque, per salvaguardare ostaggi, per salvare vittime innocenti. Ma è tempo di aggiungere che, senza che almeno la DC lo ignorasse, anche la libertà (con l'espatrio) in un numero discreto di casi è stata concessa a palestinesi, per parare la grave minaccia di ritorsioni e rappresaglie capaci di arrecare danno rilevante alla comunità. E, si noti, si trattava di minacce serie, temibili, ma non aventi il grado d'immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. La necessità di fare uno strappo alla regola della legalità formale (in cambio c'era l'esilio) era stata riconosciuta. Ci sono testimonianze ineccepibili, che permetterebbero di dire una parola chiarificatrice. E sia ben chiaro che, provvedendo in tal modo, come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare di riguardo ai paesi amici interessati, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e fiduciosi rapporti. Tutte queste cose dove e da chi sono state dette in seno alla DC? È nella DC dove non si affrontano con coraggio i problemi. E, nel caso che mi riguarda, è la mia condanna a morte, sostanzialmente avvallata dalla DC, la quale arroccata sui suoi discutibili principi, nulla fa per evitare che un uomo, chiunque egli sia, ma poi un suo esponente di prestigio, un militante fedele, sia condotto a morte. Un uomo che aveva chiuso la sua carriera con la sincera rinuncia a presiedere il governo, ed è stato letteralmente strappato da Zaccagnini (e dai suoi amici tanto abilmente calcolatori) dal suo posto di pura riflessione e di studio, per assumere l'equivoca veste di Presidente del Partito, per il quale non esisteva un adeguato ufficio nel contesto di Piazza del Gesù. Sono più volte che chiedo a Zaccagnini di collocarsi lui idealmente al posto ch'egli mi ha obbligato ad occupare. Ma egli si limita a dare assicurazioni al Presidente del Consiglio che tutto sarà fatto come egli desidera.E che dire dell'On. Piccoli, il quale ha dichiarato, secondo quanto leggo da qualche parte, che se io mi trovassi al suo posto (per così dire libero, comodo, a Piazza, ad esempio, del Gesù), direi le cose che egli dice e non quelle che dico stando qui.Se la situazione non fosse (e mi limito nel dire) così difficile, così drammatica quale essa è, vorrei ben vedere che cosa direbbe al mio posto l'On. Piccoli. Per parte mia ho detto e documentato che le cose che dico oggi le ho dette in passato in condizioni del tutto oggettive. È possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale, quale che ne sia l'esito? Possibile che non vi siano dei coraggiosi che la chiedono, come io la chiedo con piena lucidità di mente? Centinaia di parlamentari volevano votare contro il Governo. Ed ora nessuno si pone un problema di coscienza? E ciò con la comoda scusa che io sono un prigioniero. Si deprecano i lager, ma come si tratta, civilmente, un prigioniero, che ha solo un vincolo esterno, ma l'intelletto lucido? Chiedo a Craxi, se questo è giusto. Chiedo al mio partito, ai tanti fedelissimi delle ore liete, se questo è ammissibile. Se altre riunioni formali non le si vuol fare, ebbene io ho il potere di convocare per data conveniente e urgente il Consiglio Nazionale avendo per oggetto il tema circa i modi per rimuovere gli impedimenti del suo Presidente. Così stabilendo, delego a presiederlo l'On. Riccardo Misasi.È noto che i gravissimi problemi della mia famiglia sono la ragione fondamentale della mia lotta contro la morte. In tanti anni e in tante vicende i desideri sono caduti e lo spirito si è purificato. E, pur con le mie tante colpe, credo di aver vissuto con generosità nascoste e delicate intenzioni. Muoio, se così deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell'amore immenso per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall'alto dei cieli. Proprio ieri ho letto la tenera lettera di amore di mia moglie, dei miei figli, dell'amatissimo nipotino, dell'altro che non vedrò. La pietà di chi mi recava la lettera ha escluso i contorni che dicevano la mia condanna, se non avverrà il miracolo del ritorno della DC a se stessa e la sua assunzione di responsabilità. Ma questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti, né per la DC, né per il paese. Ciascuno porterà la sua responsabilità.Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l'adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto.ALDO MOROMonsignor Zama era vescovo di Sorrento; l'avvocato Veronese, amico di vecchia data di Moro, era stato alla guida delle Acli; il deputato democristiano Scaglia era stato nel 1968 ministro dell'Istruzione. Con altri, avevano sottoscritto e pubblicato una lettera in cui si affermava che «l'Aldo Moro che conosciamo non è presente nelle lettere a Zaccagnini». È a loro che fa riferimento Moro, nella sua lettera al partito, a proposito di chi ne mette in dubbio l'autenticità.È il 5 maggio. A Genova, Milano, Torino e Roma viene fatto ritrovare il comunicato n. 9 delle Br: «La battaglia iniziata il 16 marzo è arrivata alla sua conclusione». Il comunicato è durissimo. La Dc viene indicata come responsabile del rifiuto della loro proposta di scambio, mentre le iniziative dei socialisti vengono irrise come «fumo negli occhi». Il nocciolo vero è la questione della liberazione dei tredici detenuti. «Concludiamo quindi eseguendo la sentenza cui Aldo Moro è stato condannato». È a quel gerundio che si aggrappano le opinioni di politici, osservatori e giornalisti. Poco prima dell'arrivo del comunicato era finita la riunione del Comitato interministeriale per la sicurezza, con una dichiarazione finale di non accettabilità delle proposte socialiste di atti di clemenza verso alcuni detenuti e di modifica di alcune norme vigenti nelle carceri speciali. La riunione, in realtà, oltre a fare il punto su indagini e iniziative, ha il senso della prima valutazione strategica sul dopo-Moro. Il governo ritiene ormai superata ogni possibilità «umanitaria» e, verificato il fronte maggioritario di convergenza con comunisti e repubblicani, si prepara a gestire l'emergenza.Immediate le riunioni dei partiti dopo l'arrivo del comunicato n. 9. A piazza del Gesù sui volti di Zaccagnini e degli altri leader si legge la sensazione dell'epilogo. È la stessa impressione che riporta Tatò, capo ufficio stampa e uomo di fiducia di Berlinguer, venuto qui da Botteghe Oscure, dove ritorna. Piccoli comunque dice che «il comunicato non ci appare completamente conclusivo». Questa sospensione, questa attesa emergono dalla nota che viene affidata al «Popolo», per essere pubblicata l'indomani: «Al di là del tono ultimativo, questo comunicato non permette una valutazione conclusiva per ciò che riguarda la vita di Aldo Moro».Claudio Vitalone, sostituto della procura generale della Repubblica di Roma, incontra a Palazzo di Giustizia Daniele Pifano, uno dei leader di via dei Volsci, collettivo dell'area di Autonomia operaia. Interpellato in merito alla vicenda Moro, Pifano insiste per l'urgenza di un intervento diretto del governo verso la liberazione di un detenuto e verso il miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri. Non ha alcun elemento di certezza che l'iniziativa consenta automaticamente la liberazione di Moro, ma è convinto che possa rappresentare qualcosa che smuova l'inerzia ineluttabile degli eventi.È il 6 maggio. Eleonora Moro telefona a Fanfani. Ha già sentito il presidente Leone che le ha garantito di stare «con la penna in mano» pronto a firmare un provvedimento di grazia, purché il governo, tramite il ministro di Grazia e Giustizia, gliene faccia richiesta. Tutto sembra avviarsi a conclusione. Ormai pare esaurita la possibilità di muoversi all'interno delle contraddizioni democristiane. Resta Fanfani. Il presidente del Senato si reca a via del Forte Trionfale e assicura alla signora Moro che avrebbe preso delle iniziative. Craxi non si rimprovera nulla. In un certo senso, l'attacco di cui è fatto oggetto nell'ultimo comunicato Br rilegittima i suoi tentativi in termini istituzionali. Non crede ? e con lui buona parte del partito ? che si sia arrivati all'epilogo. Incontra Lanfranco Pace, ex leader di Potere Operaio, per un ultimo tentativo. Questa volta ha bisogno di sapere con certezza che Moro sia vivo e che un suo messaggio giunga a destinazione. A Lanfranco Pace affida la frase «misura per misura»: se la si leggerà in una prossima comunicazione delle Br o in un biglietto autografo di Moro, ci sarà ancora spazio per la trattativa. Pace non può dare alcuna garanzia in merito, ma cercherà di riuscirci.Il socialista Giuliano Vassalli, intanto, con la collaborazione di alcuni funzionari del ministero di Grazia e Giustizia, ha fatto disporre il trasferimento in ospedale di Alberto Buonoconto, uno dei detenuti su cui si è appuntata la valutazione di un'alternativa alla liberazione dei tredici detenuti richiesti dalle Br. Buonoconto, militante dei Nap, è affetto da gravi problemi motori e depressivi.Fanfani è impegnato in provincia di Arezzo per la campagna elettorale. In un suo comizio dirà che «apprezza lo spirito umanitario del recente atteggiamento del Psi». Si inerpica anche su alcune considerazioni rispetto al quadro politico della maggioranza e alla necessità di distinguere un'opposizione. È certo un segnale debolissimo. Ma per gli esperti di linguaggio democristiano, Fanfani si prepara a dar battaglia.