A Eleonora MoroPasqua 1978Mia carissima Noretta,Desidero farti giungere nel giorno di Pasqua, a te ed a tutti, gli auguri più fervidi ed affettuosi con tanta tenerezza per la famiglia ed il piccolo in particolare. Ricordami ad Anna che avrei dovuto vedere oggi. Prego Agnese di farti compagnia la notte. Io discretamente, bene alimentato ed assistito con premura. Vi benedico, invio tante cose care a tutti e un forte abbraccio.AldoA Francesco CossigaCaro Francesco,mentre t'indirizzo un caro saluto, sono indotto dalle difficili circostanze a svolgere dinanzi a te, avendo presenti le tue responsabilità (che io ovviamente rispetto) alcune lucide e realistiche considerazioni.Prescindo volutamente da ogni aspetto emotivo e mi attengo ai fatti. Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione - mi è stato detto con tutta chiarezza - che sono considerato un prigioniero politico, sottoposto, come Presidente della D. C., ad un processo diretto ad accertare le mie trentennali responsabilità (processo contenuto in termini politici, ma che diventa sempre più stringente). In tali circostanze ti scrivo in modo molto riservato, perché tu e gli amici con alla testa il Presidente del Consiglio (informato ovviamente il Presidente della Repubblica) possiate riflettere opportunamente sul da farsi, per evitare guai peggiori.Pensare quindi fino in fondo, prima che si crei una situazione emotiva e irrazionale. Devo pensare che il grave addebito che mi viene fatto, si rivolge a me in quanto esponente qualificato della DC nel suo insieme nella gestione della sua linea politica. In verità siamo tutti noi del gruppo dirigente che siamo chiamati in causa ed è il nostro operato collettivo che è sotto accusa e di cui devo rispondere.Nella circostanza sopra descritta entra in gioco, al di là di ogni considerazione umanitaria che pure non si può ignorare, la ragione di Stato. Soprattutto questa ragione di Stato nel caso mio significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato, sottoposto ad un processo popolare che può essere opportunamente graduato, che sono in questo stato avendo tutte le conoscenze e sensibilità che derivano dalla lunga esperienza, con il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa in determinate situazioni.Inoltre la dottrina per la quale il rapimento non deve recare vantaggi, discutibile già nei casi comuni, dove il danno del rapito è estremamente probabile, non regge in circostanze politiche, dove si provocano danni sicuri e incalcolabili non solo alla persona, ma allo Stato. Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile. Tutti gli Stati del mondo si sono regolati in modo positivo, salvo Israele e la Germania, ma non per il caso Lorenz. E non si dica che lo Stato perde la faccia, perché non ha saputo o potuto impedire il rapimento di un'alta personalità che significa qualcosa nella vita dello Stato.Ritornando un momento indietro sul comportamento degli Stati, ricorderò gli scambi tra Breznev e Pinochet, i molteplici scambi di spie, l'espulsione dei dissidenti dal territorio sovietico. Capisco che un fatto di questo genere, quando si delinea, pesi, ma si deve anche guardare lucidamente al peggio che può venire. Queste sono le alterne vicende di una guerriglia, che bisogna valutare con freddezza, bloccando l'emotività e riflettendo sui fatti politici.Penso che un preventivo passo della S. Sede (o anche di altri? di chi?) potrebbe essere utile. Converrà che tenga d'intesa con il Presidente del Consiglio riservatissimi contatti con pochi qualificati capi politici, convincendo gli eventuali riluttanti. Un atteggiamento di ostilità sarebbe una astrattezza ed un errore. Che Iddio vi illumini per il meglio, evitando che siate impantanati in un doloroso episodio, dal quale potrebbero dipendere molte cose.I più affettuosi saluti.Aldo MoroÈ il 29 marzo 1978. Nicola Rana, da anni segretario particolare di Moro, riceve, nello studio di via Savoia del presidente democristiano, una telefonata delle Br, che gli indica dove trovare una busta: a piazza Sant'Andrea della Valle, nell'intercapedine tra il muro e un'edicola di giornali. Rana la recupera e si reca da Eleonora Moro. La busta contiene tre lettere di Moro. La prima, indirizzata a Rana, in cui lo prega di preservare la segretezza e la sicurezza dello studio di via Savoia come canale di comunicazione. La seconda, alla moglie. La terza, la più lunga, indirizzata a Cossiga, a cui Rana la consegna nel primo pomeriggio. Moro deve avervi ragionato su durante la Settimana Santa. È domenica di Pasqua, 26 marzo. Sono passati dieci giorni dal rapimento. Ha letto ritagli di giornali con le dichiarazioni dei partiti, di esponenti del governo, dei sindacati. Suppone che si sia aperta una caccia all'uomo per rintracciare il luogo dov'è tenuto prigioniero, ma non crede che questa sia la strada per la quale poter tornare libero. Vuole far rendere conto gli altri della condizione a cui è sottoposto, il «dominio», il «processo». «Siamo tutti noi a essere chiamati in causa», scrive Moro. Lo si deve considerare un prigioniero politico e trovare il modo di tirarlo fuori da lì. Fa riferimento a precedenti comportamenti di Stato come il caso Lorenz (leader dei democristiani di Berlino sequestrato il 27 febbraio del 1975 e rilasciato l'1 marzo in cambio della liberazione di cinque anarchici) e gli scambi di spie tra paesi ostili. Indica nella Santa Sede un possibile interlocutore, un mediatore attivo.Cossiga riceve la lettera convinto - come gli scrive Moro - che abbia un carattere privato. Da lì a poco, invece, le Br faranno rinvenire in quattro città copie della lettera e il comunicato n. 3. La scelta di rendere pubblico quanto a Moro era stato garantito come privato sarà motivata dicendo: «Ha chiesto di scrivere una lettera segreta (le manovre occulte sono la normalità per la mafia democristiana) al governo ed in particolare al capo degli sbirri Cossiga. Gli è stato concesso, ma siccome niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume la rendiamo pubblica». Questa decisione non è stata presa senza obiezioni interne. Il comunicato, che si rivolge al Movimento rivoluzionario, proclama che renderà noti i risultati dell'interrogatorio di Moro, a cui il prigioniero - si dice - sta collaborando. A sera finalmente il Comitato tecnico-operativo sarà informato dell'ultimo comunicato brigatista e delle lettere di Moro, compresa quella al ministro degli Interni di cui nessuno era al corrente. Cossiga, intanto, si consulta con Andreotti per decidere insieme l'atteggiamento da assumere. Il gruppo dei più stretti collaboratori di Moro - Rana, Freato e Guerzoni - prepara un articolo per il quotidiano «Il Popolo», in cui si mostra una certa disponibilità ad ascoltare i suggerimenti contenuti nella lettera del presidente democristiano. Ma la pubblicazione dell'articolo viene bloccata dai vertici del partito. Immediatamente dopo aver ricevuto la lettera del marito, Eleonora Moro, seguendone le indicazioni, si è messa in contatto con il Vaticano per sollecitarne la mediazione.Si apre a Torino il 41° Congresso socialista. Non è in discussione la leadership di Craxi, rafforzata dal patto con Signorile, quanto la collocazione che il partito intende assumere riguardo alla maggioranza governativa. È anche il banco di prova della nuova classe dirigente socialista, quella generazione di quarantenni che si è stretta attorno a Craxi. Il discorso introduttivo del segretario è atteso anche per i suoi imprescindibili riferimenti al sequestro Moro.