Malamore , scritto e diretto da Francesca Schirru, nel titolo riporta alla mente l'ultimo lungometraggio di Eriprando Visconti, datato 1982. È un'opera prima, che segna il punto d'arrivo della Schirru dopo nove anni di formazione tra i mestieri nella produzione e direzione filmica. Il film mostra subito inevitabili imperfezioni narrative proprie di ogni esordio, ma rivela altresì notevole impegno oltre a un'autenticità artigianale nella scelta delle scene e dei volti che finisce per migliorarne la resa. Le attrici coinvolte mostrano grande solidità, come Antonella Carone, intensa rivale di una sfrontata Giulia Schiavo. Di minore complessità, a dispetto di un'eccezionale presenza fisica, l'approccio da protagonista di Simone Susinna, penalizzato anche da scene recitate costantemente in interni, privilegiando forza erotica e violenza, che poco rivelano in termini di solitudine, silenzi o ossessione per il tradimento che un capoclan della Sacra Corona Unita potrebbe dover temere dal carcere. Ed è un peccato che il Marcello “Nacho” Machos di Altri 365 giorni e 365 giorni – non si liberi dal ruolo di bello e maledetto, offrendo maggiore oscurità. Nella prima parte del film i dialoghi e le dinamiche tra personaggi sono inadeguati o manieristici: tutto è più raccontato che agito, e fin troppo spiegato. Nella seconda parte, come accade in alcuni incontri di calcio, tutto si ribalta, sotto la leva dell'emotività femminile, e segna parecchi punti a favore dell'opera, al punto da renderla conveniente perché interessante: sotto la crosta della storia di ambientazione carceraria, e oltre la sensazione di già visto, rispetto al racconto dell'espansione criminale di una cosca tra le masserie pugliesi e l'Albania, si staglia una storia di emancipazione femminile e di patriarcato feroce che investe due donne rivali, entrambi disperati e schiave dello stesso uomo e di un sistema di sottocultura maschile che vieta la ribellione e l'esistenza al di fuori del controllo patriarcale. La moglie, Carmela, capace di comandare un gruppo di fuoco mentre il suo Nunzio fa gli ultimi giorni in cella, non potendo essere madre, sarà incapace di sentirsi viva; l'amante,

Mary, sapendo di non poter sfuggire a un destino già scritto, avrà l'ostinazione di percorrere fino in fondo un tunnel senza uscita. Entrambe mostreranno le stimmate di un dominio secolare quanto inutile, che ignora volutamente il femminile, confinandolo in ruoli ancillari. E invece lo sguardo dell'autrice punta proprio sulle donne, sul loro diritto a esistere, oltre il maschile, libere di amare sbagliando, così come di darsi la morte, in silenzio. Malamore nelle sue oscurità contrapposte al sole del levante pugliese, racconta le tante donne che vivono, che subiscono abusi, e che muoiono, silenziose come creature annegate in un mare infetto. Donne come granelli di sabbia che hanno nomi comuni e che diventano volti usati nelle messinscene mediatiche di rapporti malati, che provano a far saltare meccanismi antichi, insanguinati, senza che alcuna comunità o istituzione possa davvero aiutarle a sfuggire al destino. Dall'altra parte, due uomini a modo loro autentici e liberi: Michele, (l'espressivo Antonio Orlando) affiliato alla SCU, ma leale amico d'infanzia di Mary, e Giulio, (un sensibile Simon Grechi) che riaffermano l'esistenza di sentimenti capaci di ripristinare significato a un'esistenza mentre scivola via, tra cellulari lasciati squillare e porte sbarrate. In questo melodramma che fa il suo marcato eco shakespeariani, l'amore spiega ancora tutta la sua potenza eversiva, nell'immagine di Sole, il cavallo nero di Mary, che chiede solo di essere lasciato libero di splendere al galoppo tra mare e sabbia.