Ken Loach, il regista Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes, è finalmente arrivato in Italia per presentare I, Daniel Blake, film che lo ha fatto trionfare alla kermesse francese per la seconda volta dopo quella del 2006 con Il Vento accarezza l'erba. Definito da Variety come uno dei film più belli di Loach, «puro e schietto come quelli di Vittorio De Sica»,  I, Daniel Blake può essere considerato sicuramente come l'opera più diretta e coinvolgente tra quelle che il regista inglese ha dedicato al tema del lavoro e del welfare. A interpretare il Daniel Blake del titolo, Ken Loach ha voluto un attore sconosciuto al pubblico europeo ed internazionale, Dave Johns, che veste i panni di un falegname quasi sessantenne costretto a dover chiedere aiuto allo Stato poiché fisicamente impossibilitato a lavorare. Daniel diventerà prigioniero del sistema burocratico inglese e troverà confronto solo in una donna, Katie (interpretata da un'altra attrice poco conosciuta, Hayley Squires) nella sua stessa situazione. Ken Loach ha commosso Cannes, mostrando come lo Stato induca in chi soffre la percezione che la povertà sia una loro colpa, una loro mancanza. La perdita di dignità sul lavoro e l'assenza di solidarietà a molti livelli, da quello umano a quello sociale e statale sono al centro del film e dell'impegno di Ken Loach nel cinema. Il film uscirà nelle sale italiane dal 21 ottobre invitando il suo pubblico ad una riflessione sulla solidarietà, in un momento storico in cui il dibattito sull'assistenzialismo, il welfare, l'appartenenza all'Europa sono temi di cruciale importanza.Che tipo di ricerca ha portato avanti per rappresentare al meglio questo "mondo" e questa situazione così angoscianti raccontate nel film?Tutto è partito iniziando a leggere storie pubblicate sulla stampa oppure rese note in gruppi di varie campagne. Paul (Laverty - sceneggiatore) ed io ci sentiamo tutti i giorni ed abbiamo deciso di esplorare questa realtà e siamo partiti per un giro che ci ha portato in sei cittadine diverse, dove abbiamo sentito sempre le stesse storie: gente che sempre più numerosa si rivolge ai banchi alimentari, persone senza una casa. Abbiamo deciso che bisognava raccontarlo. Il primo giorno di questo giro siamo andati nella mia cittadina natale nelle Midlands e siamo entrati in contatto con un ente caritatevole per cui io collaboro. Attraverso di loro abbiamo incontrato un giovane di diciannove anni che fa lavoretti casuali qua e là, non ha nessun tipo di sussidio e siamo andati a casa sua. La sua casa è una stanza fornita da questo ente, c'è un materasso per terra ed un piccolo frigorifero. Gli abbiamo chiesto se potevamo vedere cosa c'era dentro. Abbiamo aperto lo sportello del frigorifero e dentro non c'era niente. A quel punto gli abbiamo chiesto quale fosse stata l'ultima volta in cui aveva sofferto la fame e lui ha risposto che la settimana prima non aveva mangiato per ben tre giorni. Un suo amico poi, che lavora su chiamata, una mattina è stato convocato alle cinque per andare a lavorare alle sei in un magazzino. E' arrivato sul posto di lavoro e lo hanno mandato a casa subito perché invece il lavoro per lui non c'era. Questa è la realtà precaria di troppe persone.Uno degli aspetti che colpisce nel film è il muro che i protagonisti si trovano di fronte. Le persone con cui Daniel e Katie si trovano a confrontarsi sembrano più robot che esseri umani.È vero ma sono lo Stato ed il Governo a creare queste realtà e queste strutture. Molti hanno smesso di lavorare in questi enti per la crudeltà che gli viene richiesto loro di esercitare. Le riprese sono state effettuate in uno di questi uffici di collocamento e al di là dei due attori protagonisti e delle attrici, tutte le persone che nel film vedete fingere di essere funzionari sono tutti ex impiegati del collocamento che hanno deciso di lasciare questo impiego. Alcuni credono che sia giusto relazionarsi in questo modo ma la maggior parte soffre perché gli viene chiesto questo atteggiamento.Secondo lei le politiche del welfare sono peggiorate con il governo attuale nel Regno Unito?Sicuramente le politiche del welfare sono peggiorate perché la situazione è peggiorata. È colpa di questa logica del sistema economico che non conosce rimorsi. Il costo della manodopera e del lavoro viene tagliato ogni singolo giorno. Non so come sia la situazione in Italia ma in Gran Bretagna nei supermercati per esempio, ormai i cassieri e le cassiere non esistono più, paghi semplicemente con una macchina. Ogni giorno viene tagliato qualcosa per aumentare il profitto di pochi perché i loro competitors, i loro concorrenti lo fanno. È la spietata legge del mercato libero e questo non fa altro che creare sempre più persone in condizioni di vulnerabilità che non hanno più impiego o ce l'hanno temporaneo, senza nessun tipo di assistenza e di benefit. Ci sono i contratti a zero ore dove il lavoratore si impegna ma il datore di lavoro non lo fa. Tutto ciò non fa altro che aumentare la povertà e la crudeltà del sistema che deve rispondere ad una logica del profitto. E' impensabile che la situazione cambi se non viene cambiata la struttura economica, il modello.Dopo la Brexit?La situazione non potrà che peggiorare perché molte attività commerciali lasceranno l'Inghilterra per stringere accordi con altri paesi europei quindi in Gran Bretagna non si potrà fare altro che rendere ancora più economica la forza lavoro.Parlando di Europa, non siamo stati mai così uniti come nel vedere questo film che ci mostra come certe battaglie siano comuni a tutti i paesi, specialmente quelli europei. Pensa che il film possa dare nuova forza e un nuovo slancio a cambiare le cose?Lo scopo del film è quella di mostrare la situazione per com'è così che nessuno possa più sottrarsi da un assunzione di responsabilità rispetto ad essa. Il cambiamento può arrivare solo e quando sapremo organizzarci per contrastare una serie di realtà. Guardiamo per esempio la Grecia che adesso per ripagare il debito è costretta a vendere i propri beni pubblici. Solo se riusciremo a trovare e costruire solidarietà a livello europeo ed a stabilire delle alleanze, anche a livello della classe lavoratrice, potremo veramente cambiare modello. Non dobbiamo aver paura di usare la parola "classe", perché è veramente una condizione di classe.