Leo Gullotta è al teatro Ambra Jovinelli di Roma nei panni del professor Agostino Toti, il protagonista di Pensaci, Giacomino!, testo di Luigi Pirandello del 1917 già delineato in una novella. La commedia in tre atti è qui ridotta ad atto unico, con fedele operazione drammaturgica del regista Fabio Grossi.

Il professore ha dedicato la vita all’insegnamento, servendo lo Stato con onestà. Sulla soglia del congedo decide di sposare Lillina ( Federica Bern), la figlia di due bidelli ( Rita Abela e Valerio Santi), per lasciarle la pensione, vendicandosi così dello Stato che lo ha sottopagato e gli ha impedito di farsi una famiglia. Lillina è incinta, il padre del bambino è Giacomino ( Marco Guglielmi), un ragazzo del paese, per questo i genitori la rifiutano. Il professor Toti la prende con sé nella sua casa dove arriva anche una eredità inattesa e c’è una domestica ad aiutare ( Gaia Lo Vecchio). Toti tratta Lillina come una figlia e le permette di vedere il padre del bambino, ma si espone alle maldicenze della gente e all’ostilità della sorella di Giacomino, Rosaria ( Valentina Gristina), del sacerdote del paese, Padre Landolina ( Sergio Mascherpa), del direttore del Ginnasio ( Liborio Natali). Lo spettacolo, prodotto da Michele Gentile per Enfi Teatro e il Teatro Stabile di Catania, sta godendo di successo di critica e di pubblico. A Roma, dove resterà fino al 25 novembre, gli spettatori numerosissimi hanno accolto con calore lo spettacolo.

Con questa interpretazione intrisa di perfetta umanità Gullotta si pone all’apice del panorama attoriale e svetta nell’orizzonte teatrale italiano, dimostrando di saper dialogare con l’intelligenza emotiva del pubblico, di essere in grado di portarlo a una riflessione che lo coinvolge completamente.

Dopo Roma l’allestimento continuerà la sua tournée per l’Italia. Nella sua parte lei offre un precipitato di splendente umanità. Ha accanto un cast di attori di valore che, nei ruoli antagonisti, si servono di una recitazione simbolica, antinaturalistica capace di sottolineare ancor più il contrasto tra uomo e funzione. Come ha raggiunto questo grado di verità sulla scena?

Io ho 58 anni di carriera e 72 di vita. Ho iniziato ragazzino con dei grandi: Randone, Ferro, Enriquez, Moriconi, Mauri. La lezione che mi hanno dato sui testi del nostro Nobel– ne ho interpretati diversi – è che Pirandello non vuole i pirandellismi, ma una recitazione vera, autentica. Nello spettacolo c’è tanto ritmo, laddove spessissimo negli spettacoli di Pirandello tutti sputano la perla, rallentando ogni cosa. Fabio Grossi ha costruito uno spettacolo di un’ora e venti in uno stile pittorico che richiama quell’espressionismo tedesco tanto caro a Pirandello, che ha vissuto per anni in Germania.

Lo spettacolo ha quella cura antica di ogni aspetto: le luci di Umile Vainieri, le musiche di Germano Mazzocchetti con i brani cantati da Claudia Portale. Anche le belle scene di Angela Gallaro Goracci partecipano all’interpretazione registica di Grossi: gli sfondi sembrano dei quadri di Rothko su cui si affacciano volti espressionisti… Questi giganti, queste facce, questi “altri” che continuano a guardarci anche oggi, se pensiamo a Facebook e quant’altro. Siamo preda del giudizio altrui in continuazione. Pirandello, premio Nobel non a caso, perfetto conoscitore della macchina teatrale, ha visto cento anni prima il disfacimento di questa società. In Pensaci, Giacomino! si raccontano la solitudine, la condizione femminile, l’arrivismo dei burocrati, i disagi della scuola pubblica, degli insegnanti. Sono tutte tematiche che abbiamo attorno: il pubblico vuole riprendersi la vita, vuole materia su cui poter riflettere, in un momento in cui la società è imbarazzata, è stralunata. Sono tantissimi anche i giovani che vengono a vedere lo spettacolo.

Le ipocrisie di quegli anni sono diverse rispetto a quelle di oggi?

Non è cambiato nulla: cento anni e tutto è fermo. È proprio Il Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla. Questo spettacolo che non si metteva in scena da trentacinque anni vuole essere una riflessione. È stato il cavallo di battaglia di grandissimi interpreti: da Sergio Tofano a Salvo Randone, Turi Ferro, Ernesto Calindri. Nelle loro fantastiche interpretazioni raccontavano la vecchiaia del professor Toti, io e il regista abbiamo deciso di raccontare invece l’anziano. Perché oggi la società dipende dagli anziani: gli anziani che sono i primi ad aiutare i giovani, a essere pronti a ogni sacrificio. Raccontare oggi l’anziano ci è sembrata una nota di freschezza.

La condizione femminile è molto migliorata rispetto a quegli anni. Non trova?

Sì, però apriamo i giornali o i telegiornali e siamo travolti da femminicidi. La condizione della donna è, anche oggi, in una società moderna, ancora lì. I maschietti forse hanno scoperto i passi in avanti che in cento anni hanno fatto le donne, ma fanno fatica ad accettare le loro conquiste.

Il professor Toti è un uomo amareggiato dallo Stato. Un professore di oggi?

Proprio così. La condizione di un uomo che, come insegnante, non ha avuto assolutamente niente, il ruolo degli insegnanti oggi è così, né più né meno. Quest’uomo nella sua anzianità capisce che può fare del bene, andando a offrire tutto a una ragazza, ma come figlia.

C’è anche molto grottesco come spesso in Pirandello… Questa è una natura tipica di Pirandello, che, ad arte, durante lo svolgersi della storia, inserisce una situazione, una battuta, che porta lo spettatore a sorridere, ma subito dopo graffia a sangue.

Il colore siciliano in questo aiuta?

L’Italia tutta è fatta di provincia. Certo c’è un sapore siciliano, ma le situazioni appartengono all’Italia intera, ai suoi paesini. Vediamo trasmissioni televisive in cui l’elemento più importante sono gli altri: cosa dicono, cosa pensano, analizziamo temi su cui il parlar facile, il fare comunella, il fare cortile sono una nota che ci assale e ci massacra. Oggi invece abbiamo una necessità di umanità, un’umanità che non abbiamo più intorno. Vedere questo ritorno, quest’uomo così pieno di umanità è una buona medicina per la mente.