Il processo mediatico, la magistratura nostrana che asseconda l’idea del grande complotto e l'inevitabile ripercussione sull'opinione pubblica, con la conseguenza di alimentare il linguaggio d'odio e lo stigma nei confronti di chi, in realtà, è innocente. Questi sono temi affrontati da Il Dubbio, ma ritrovarli concentrati nelle “Le ultime ore di Mario Biondo”, la serie spagnola prodotta da Netflix e diretta da María Pulido, ha un effetto coinvolgente, quasi un riscatto.

Nel contempo, c'è anche un sentimento di amarezza, poiché per un tema che ci riguarda così da vicino, abbiamo avuto bisogno di osservatori stranieri. Non è un caso che questo docufilm sia stato snobbato da grandi giornali o criticato – almeno finora – nei piccoli. Ma, in fondo, era inevitabile, considerando che la quasi totalità del giornalismo italiano ha cavalcato le legittime convinzioni dei famigliari. Ovviamente, la famiglia ha tutto il diritto di perseguire ciò in cui crede, ma la prima regola del giornalismo è quella di mantenere la giusta distanza. Dopodiché adottare un approccio scientifico, leggere le carte, porre domande e, alla fine, attenersi ai fatti. Se i fatti non concordano con le istanze dei famigliari, non è corretto assecondarli. Come giustamente ha osservato Selvaggia Lucarelli, intervistata nel documentario, in Italia non esiste un vero giornalismo di inchiesta giudiziaria, e noi, che ci siamo occupati anche di grandi temi, come il teorema trattativa Stato-mafia, sappiamo bene quanto sia vero. Fa cinema, romanza, abituando così le persone a non interessarsi dei fatti oggettivi, ma esclusivamente le suggestioni.

La serie spagnola approdata di recente su Netflix inizia con l'incontro che ha cambiato per sempre la vita di Mario Biondo, un talentuoso cameraman palermitano, e Raquel Sanchez-Silva, la famosa conduttrice spagnola, durante il reality show “Survivor Spain”. L'amore scocca tra i due, e nel 2012 coronano il loro sentimento con il matrimonio. A causa della celebrità di Raquel, la loro relazione e il loro matrimonio vengono ampiamente coperti dai tabloid spagnoli e dai siti web di intrattenimento. Ma meno di un anno dopo, la coppia attraversa un periodo difficile a causa dei problemi di fertilità – così ricostruisce il docufilm - derivanti dalla tossicodipendenza di Mario. La notte della sua morte, Raquel lascia l'appartamento dopo una discussione, e Mario cerca su Google se le droghe possano danneggiare la fertilità. Il giorno seguente, viene trovato impiccato.

Le prove sul luogo e la successiva autopsia indicano chiaramente un suicidio per asfissia. Molto probabilmente un gioco erotico. Non ha nulla di perverso l’auto asfissia erotica (tra l’altro da anni è diventata pratica molto più comune di quanto si crede), ma purtroppo può essere fatale se non si è lucidi. Tuttavia, la famiglia Biondo sembra non essere in grado di accettarlo. A complicare ulteriormente la questione c'è il rapporto conflittuale con Raquel, che pochi giorni dopo la morte del marito, commette degli errori di comunicazione postando foto durante una vacanza a Formentera. Queste immagini innescano una reazione immediata nei genitori di Mario, portandoli a dubitare che la donna stia provando dolore per la scomparsa del marito a nemmeno un anno dal matrimonio. A ciò si aggiungono altre abitudini che non riescono ad associare al figlio. Questi dubbi spingono i genitori a intraprendere una propria indagine, convinti che dietro la scomparsa di Mario si nasconda un omicidio. Programmi televisivi, giornali e il dolore e la fragilità emotiva dei familiari vengono assecondati e riportano ipotesi di complotto ordito con la complicità della magistratura spagnola e i periti.

Non sorprende che la procura palermitana, nel 2016, apra un'indagine e accetti le istanze dei genitori. Tuttavia, il perito della procura, Paolo Procaccianti, persona stimata e perbene, giunge alla stessa conclusione dei suoi colleghi spagnoli: si tratta di un suicidio. Nonostante ciò, i genitori di Biondo lo denunciano per falsificazione della perizia. Le indagini non confermano l'accusa, e l'archiviazione dell'inchiesta ne è la conseguenza: il perito non ha commesso alcun falso e nessuna frode processuale. Procaccianti ha svolto in maniera professionale il suo lavoro. Nonostante tutto, i genitori non si arrendono e chiedono l'avocazione delle indagini sulla morte del figlio, poiché la procura ha concluso per l'archiviazione, giungendo alle stesse conclusioni degli investigatori spagnoli. In modo sorprendente, la procura generale di Palermo, all'epoca guidata da Roberto Scarpinato, accoglie la richiesta, riaprendo così le indagini. Di conseguenza il caso ritorna sotto i riflettori mediatici e sui social network, alimentando l'idea di una “indicibile” verità.

Alla fine, il Procuratore Generale chiede l'archiviazione, e anche se accolta, il Gip lascia comunque aperta l'ipotesi di un omicidio, seppur non esistano prove per appurarlo. Questo atto fa emergere un'immagine poco lusinghiera dell'Italia all'estero, come riportato nella serie. Ma perché? Prendendo in prestito le parole del magistrato Onelio Dodero durante una sua requisitoria al processo Capaci bis, possiamo ribadire: "Quello che non è provato, non esiste". Se l'omicidio di Biondo non è provato, teoricamente non dovrebbe essere contemplato in un atto giudiziario. Non esiste. Ma è la nostra magistratura, dopotutto. La vera separazione delle carriere dovrebbe essere quella tra magistrati e giornalisti.

La serie Netflix “Le ultime ore di Biondo” ha deluso una parte consistente degli italiani, poiché il pubblico nostrano era pronto a vederla con le aspettative create dal nostro palcoscenico mediatico-giudiziario. Sia chiaro, non c'è nessuna delle tante teorie riportate in questi dieci anni che non viene trattata dalla serie, nessuna delle ipotesi lanciate dalla famiglia che venga omessa. Però, adottando un approccio scientifico, la serie ha fatto emergere una realtà completamente diversa. L'intervista a Selvaggia Lucarelli è stata particolarmente significativa, specialmente quando ha affermato che in Italia non esiste un vero giornalismo giudiziario investigativo. I giornalisti non studiano realmente i documenti, ma si concentrano sull'intrattenimento. Ed è vero.

In sintesi, è stato necessario l'intervento di osservatori stranieri per far emergere ciò su cui Il Dubbio contrasta da anni. Il documentario evidenzia anche altri aspetti interessanti, come il modo in cui tutto ciò alimenta odio, stigma e morte sociale. I familiari di Biondo hanno tutto il diritto di perseguire ciò in cui credono, ma coloro che li hanno appoggiati e assecondati, alimentando l'idea di un complotto senza alcun fondamento e dicendo ciò che il pubblico vuole sentire, non hanno giustificazione alcuna. Questo vale anche per altri temi giudiziari. Paradossalmente, su Netflix stessa, c'è ancora quel vecchio docufilm di Sabina Guzzanti sulla Trattativa. Un misto di deliri superati e demoliti dopo anni di battaglia giudiziaria. Ma rimane l'odio verso gli ex Ros Mori e De Donno, che saranno per sempre colpevoli nell'immaginario italiano. È l'esempio perfetto di come il giornalismo di inchiesta sia morto da tempo in questo Paese. Bisogna affidarsi ad altre serie straniere come questa. A noi, in fondo, manca una regista come María Pulido.