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Bob Dylan è il primo americano a vincere il Nobel per la letteratura da quando, 23 anni fa, il Nobel fu vinto da Toni Morrison, romanziera che veniva dall'Hoio e dal Texas, nera, all'epoca poco più che sessantenne, molto impegnata nelle lotte contro il razzismo.Bob Dylan oggi ha 75 anni e ne aveva 22 quando iniziò a cantare e a scrivere canzoni, nei caffè del Greenwich Village, a Manhattan. Anche lui era molto impegnato nella lotta al razzismo, in un paese dove ancora non era stato approvato il Civil Rights Act (che è di tre anni successivo), e dove i neri, in diversi stati del Sud, dovevano alzarsi in piedi, in autobus, e lasciare il posto ai bianchi, considerati di razza superiore. E' il Civil Rights Act, voluto da Johnson, la legge che nel 1964 vieta finalmente la discriminazione razziale. Prima era legale.Bob Dylan iniziò il suo percorso di ribelle passeggiando nelle strade del Village. E ha proseguito fino ad oggi su quel sentiero. Il Sessantotto, il movimento hippy, il grande pacifismo americano non erano ancora alle viste. Non esisteva neppure il "Black Panther", e Malcolm X avrebbe fondato un paio di anni dopo il suo movimento. Persino Luther King, che era già molto attivo, era ancora conosciuto da pochi a New York. Il Presidente degli Stati Uniti era Kennedy, da pochi mesi, ma ancora non si era capito bene che il kennedismo era una promessa di cambiamento: Kennedy, in quella primavera del 1961, era noto più che altro per il fallimento dello sbarco dei marines a Cuba, alla Baia dei Porci, nel tentativo di rovesciare Castro con un colpo di stato.Dylan viene prima dei grandi movimenti di lotta degli anni Sessanta, cioè quelli che hanno cambiato molto radicalmente l'America. E' più avanti. La musica di Bob Dylan non è - come si dice sempre, usando uno stereotipo - la "colonna sonora del '68". E' molto di più: Dylan precede il Sessantotto, lo immagina, lo abbozza e diventa poi un pezzo fondamentale della sua cultura e dello scenario nel quale si svolge.Dylan è un protagonista, uno che rompe le tradizioni, che non copia ma stravolge. Bob Dylan è una figura maestosa di anticonformista, oltre che di artista. Il suo anticonformismo è una grande lezione, senza la quale sarebbe stata difficile la rottura generazionale dei ragazzi del cosiddetto "baby boom", quelli nati subito dopo la fine della seconda guerra mondiale.Un ribelle? Sì un ribelle in piena regola. Pieno di idee, di valori, di progetti, di messaggi da comunicare. Però privo di regole e privo di ideologie.Per questo mi pare davvero una banalità falsa, ma molto falsa, quella di accostare la figura di Bob, che ieri ha vinto il Nobel, a quella di Dario Fo (rispettabilissimo uomo di teatro italiano, che vinse a sua volta il Nobel una ventina d'anni fa). Fo per molti versi è il contrario esatto di Dylan. Fo trova il suo successo facendosi spazio nei varchi aperti dal movimento del '68 italiano. Non è il creatore di un senso comune ribelle, ne è l'esecutore: si limita a catturare questo senso comune e a trasformarlo in carburante per il suo lavoro intellettuale.Sul piano politico, l'opera teatrale più importante di Fo è stata Morte accidentale di un anarchico. Nella quale si racconta della morte dell'anarchico Pino Pinelli, un quarantenne milanese che fu arrestato dalla polizia subito dopo il famoso attentato di piazza Fontana (12 dicembre 1969) accusato di esserne uno degli autori, interrogato ruvidamente, e poi, probabilmente, gettato dalla finestra. La polizia disse che si era suicidato, ma non era vero, La magistratura (il Pm Gerardo D'Ambrosio) sostenne che si trattava di "un malore attivo", ma "malore attivo" era una espressione priva di significato. Dario Fo nella sua opera teatrale, che ebbe un enorme successo anche molto oltre i confini del "movimento" e della "sinistra rivoluzionaria", sostenne - con l'aiuto della metafora, per evitare problemi penali - che si era trattato di un delitto. E nel suo spettacolo appariva un certo commissario Cavalcioni, che era la copia sputata del commissario Calabresi, il capo della polizia politica milanese che poi - come tutti sapete - tre anni più tardi fu ucciso, per vendetta, da un commando di "Lotta Continua".Nessuno può mettere in discussione il ruolo molto importante ricoperto da Fo, come intellettuale della sinistra italiana. E' un ruolo che dal 1968 in poi (fino alla sbandata grillina) ha sempre ricoperto anche con grande prestigio. Ma il suo compito era quello di dare risalto e valore artistico a pensieri, o battaglie politiche, o strategie che non erano pensate da lui. Venivano dall'esterno. Fo sicuramente è stato un rivoluzionario, ma mai e poi mai è stato un anticonformnista. Né un punto di riferimento per il pensiero della sinistra. Fo ha sempre preso le idee della sinistra, non le ha create, inventate.Non so se dire queste cose, proprio il giorno della morte di Fo, sia disdicevole. Credo di no, perché sono cose vere, e la verità è sempre una forma di rispetto.Dylan è un'altra cosa. Dylan è su un altro pianeta, e non solo perché credo che tutti quelli che se ne intendono lo ritengono forse il più grande musicista della seconda metà del Novecento. Ma proprio per la sua straordinaria statura intellettuale, e per il modo in cui seppe fare del ribellismo non una cialtronata ma un punto di riferimento solido e pensante per una generazione intera (o forse due o tre generazioni...).E' apparso per la prima volta sulla scena pochi anni dopo la fine del maccartismo. Cioè degli anni più cupi della storia americana. Joseph McCarthy era un senatore che un pochino pochino assomigliava al Trump di oggi. Nei primi anni 50 trascinò l'America in una caccia alle streghe - contro la sinistra, i socialisti, i comunisti - che rischiò di travolgere il grande spirito libero americano. Forse è proprio Dylan, quando arriva a New York, e incontra la generazione dei vecchi Beat (che avevano vent'anni più di lui: Ginsberg, Corso, Kerouac...) e la rianima, la scuote, forse è proprio Dylan a porre la parola fine sul maccartismo e sui tristi anni cinquanta, e ad accendere la miccia dei sessanta. Da allora è passato un po' più di mezzo secolo. Beh, se lo meritava questo Nobel...