Nada Malanima è un’artista completa. Ha iniziato a suonare e cantare da giovanissima, e negli ultimi anni ha espresso anche un notevole talento letterario, culminato nel suo ultimo romanzo, Leonida, pubblicato da Atlantide Edizioni (Chiunque voglia ascoltarla, potrà farlo lunedì 25 luglio, alla Casa delle Donne, alle 21, insieme a Simone Caltabellota).La scrittura di Nada meriterebbe una trasposizione cinematografica, è lieve e intensa insieme, sorretta da una solida architettura narrativa. Nella storia di Leonida, che si trasferisce in Scozia per riappropriarsi della propria vita, e poi torna in Toscana per riconciliarsi con il passato, ci sono le immagini di un film che scorre proprio come l’esistenza: in avanti, ma punteggiata da flashback, episodi che illuminano il futuro pur restando confinati nei ricordi.Nelle prime pagine del suo romanzo, quando Leonida torna in Toscana e si ritrova davanti alle tombe dei suoi cari, lei scrive “La morte mi raccontava la vita”. E questo, in effetti, è un romanzo sulla vita. Come è nata l’idea di Leonida?Di preciso non lo so. Probabilmente è stato un insieme di cose. Dirò forse una banalità, il romanzo ti si srotola sotto gli occhi, ti porta dove vuole lui. Ho cominciato a ragionare sull’infanzia, sul fatto che si tratta di un momento centrale, fondamentale, della vita di un essere umano. L’infanzia ti segna sempre, anche quando poi diventi adulto, e capisci tante cose. Quindi mi è venuta in mente questa bambina trascurata, esclusa dagli affetti più cari, una bambina cui ho costruito intorno una storia. Le storie, poi, nascono come pretesto per raccontare le dinamiche che ci circondano e che ci coinvolgono. Poi vengono fuori i personaggi. Credo che a scrivere questo romanzo siano state le sensazioni, la voglia di raccontare, di esprimerle.Leonida ha due fratelli. Appena vengono al mondo, per sua madre lei diventa invisibile. Perché è difficile, se lo è, essere donna nel mondo di oggi? E quanto è importante il rapporto con il materno?Il rapporto con la madre è talmente complesso che, credo, nessuno riuscirà mai a capirci qualcosa. È un argomento che tratto spesso da quando scrivo, mi ci ritrovo dentro anche inconsapevolmente, anche non volendo. È un rapporto di amore-odio, un conflitto, talvolta aperto, talvolta nascosto. C’è la voglia di ribellarsi, e ciascuno mette in pratica la propria ribellione a modo suo, a seconda del proprio carattere. Ma tutti, nessuno escluso, siamo segnati nel bene e nel male da questo legame. E quando diventiamo madri rientriamo nel cerchio infinito. Che ci sia una difficoltà di essere donna, poi, nel mondo di oggi, mi pare evidente. È difficilissimo per una donna veder riconosciuto il proprio valore, tranne alcune lodevoli e privilegiate eccezioni. Siamo nel 2020 e ancora le donne vengono ammazzate come bestie. Sembra impossibile che ci si ritrovi a essere bersagli di gelosia e prepotenze. La donna è sempre stata vista come incarnazione di bellezza, grazia, femminilità, e questo va bene, ma è anche un handicap, perché ci si fissa sull’aspetto fisico, come se non ci fosse altro. Dobbiamo recuperare terreno, evidentemente, e io credevo fosse più facile. Per esempio le quote rosa: le trovo mortificanti. Ben vengano, per carità, ma è umiliante. Dovrebbe contare il valore dell’individuo, al di là del sesso. E invece, a parità di compiti, la donna continua spesso a essere pagata di meno rispetto all’uomo. Certo, le differenze ci sono: la differenza tra uomo e donna è strutturale e arricchisce, anche. Ma le donne molto spesso faticano di più dell’uomo – oltre che lavorare fuori casa, si occupano anche della famiglia e dei figli - e dovrebbero essere pagate di più, invece che di meno.Quando Leonida resta incinta e dà alla luce la sua unica figlia, Mariolina, il suo compagno Dario scompare. Ad aiutarla arriva Miriam, un’assistente sociale. Lei scrive: “Dario o Miriam per me era uguale”. Cosa pensa delle famiglie omogenitoriali?In fondo l’ho già scritto nel mio romanzo cosa penso delle famiglie omogenitoriali. Penso che ormai si debbano guardare le cose per come sono nella realtà: l’importante è l’amore. I genitori di Leonida, Marcello e Lydia, sono peggio della famiglia omogenitoriale composta dal fratello di Leonida e dal suo compagno. Tutto cambia, e nel mondo bisogna essere più aperti alle evoluzioni sociali, con meno pregiudizi. Tra l’altro, io non volevo trattare questo argomento, ma mi è venuto naturale. Evidententemente sono così immersa in certe questioni, così sensibile a certi input, che la storia ha lavorato dentro di me, e l’ho raccontata come una cosa normale, come in effetti dovrebbe essere. Certi limiti dovrebbero essere superati.Il padre di Leonida, una volta morto, le lascia un’eredità speciale: una libreria in Scozia, che si chiama “La Bottega delle Storie”. Quanto sono importanti le parole e le storie per sopravvivere?Sono fondamentali. Il cambiamento di Leonida inizia lì, in quella libreria dove ci sono persone alla ricerca di se stesse. Conoscere punti di vista diversi aiuta a sopportare meglio i proprio limiti e dolori. Come si potrebbe, del resto, tramandare la conoscenza e crescere solo guardandosi intorno? Dopo le disgrazie della sua vita, Leonida si è costruita una corazza, ed è proprio lì, in Scozia, nella Bottega delle Storie, che la corazza dà segni di cedimento. Vedendo una persona così distaccata, le persone che si avvicendano in quella libreria, scambiando la sua difesa per saggezza, pensano di potersi confidare con lei. Leonida li ascolta e torna a nascere, e si apre di nuovo alla vitaLei scrive “Poter contare uno sull’altro, essere come siamo, con le debolezze, le fragilità, nel bene e nel male, anche questo è l’amore”. L’amore è la soluzione a tutto?È una buona partenza. Non so se l’amore sia la soluzione a tutto, però. Spesso, per conquistarlo, si tende a strafare, si ha paura di mostrarsi per ciò che si è davvero, si fanno vedere solo i nostri lati positivi e belli. L’amore vero, invece, è quando qualcuno ti ama proprio come sei, anche a livello fisico. Se fai un progetto di vita con qualcuno, devi per forza fondarlo su queste basi. È bene mettere subito davanti la realtà. Se ci si accetta, ci sono speranze che si vada avanti. Certo, è difficile. Ho visto molte mie amiche che per apparire sempre splendide sono rimaste sole. L’amore di Leonida e Aidan, per esempio, nasce dal disastro.Quando Leonida torna a casa dice che non si è mai sentita giovane, né ora si sente vecchia. Cos’è il tempo per Nada?È vero, Leonida viva in un tempo sospeso, in un eterno presente. Io non sento il tempo, non l’ho mai sentito. Ho sempre fatto un lavoro impegnativo, più grande di me. Ero piccola quando ho iniziato a suonare e a diventare famosa, sono stata quasi travolta da tutto, non ho mai pensato al tempo, pensavo solo ad andare avanti e a risolvere. Non mai pensato nemmeno in termini di vecchia/giovane, e credo si tratti anche di un’inclinazione personale, del rapporto che si ha con se stessi. Io, fino a oggi, non ho ancora cambiato i miei ritmi di vita, il tempo non lo sento. Però a volte è stressante, lo ammetto. Mi ritrovo di fronte agli eventi della vita ed è come se li affrontassi per la prima volta, come se facessi qualcosa sempre per la prima volta.Qual è la differenza tra letteratura e musica? Ci sono cose che secondo lei è meglio esprimere in musica e altre che è preferibile scrivere?Credo che il libro dia più possibilità. Innanzi tutto, hai più spazio e non ci sono limiti. Puoi scrivere quanto vuoi. Quando scrivo io entro dentro la storia, vivo con i personaggi, mi sveglio con loro, vorrei non essere costretta a confrontarmi con il mondo reale, a vedere gente, perché mi porta via tempo, mi distrae. Le storie che scrivo mi fanno scoprire cose che di me che non sospettavo. Divento più esigente anche nei confronti di me stessa. Scrivere per me è stata una crescita, sento che ho aggiunto qualcosa alla mia vita. La musica invece ha un aspetto più ludico, per quanto mi riguarda. Non ci sono il tempo e lo spazio che invece la scrittura mi regala. Il libro è un modo di vedere, di guardare il mondo, un approccio molto serio, anche molto scuro: è una finestra sulla morte, sulla fine. È quello che ho scritto nel mio romanzo, proprio all’inizio: “La morte ti racconta la vita”.