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Filippo Arlia, classe 1989, è un giovane giurista di Catanzaro e uno dei più brillanti e versatili musicisti italiani della sua generazione. Pianista e direttore d’orchestra, dal 2008 promuove Duettango, una formazione cameristica italiana impegnata nell'interpretazione della letteratura di Astor Piazzolla.
Il Maestro Arlia ha tenuto oltre 400 concerti come solista e ha diretto orchestre prestigiose in più di 25 paesi nel mondo.
Nel 2011 ha fondato l'Orchestra Filarmonica della Calabria. Grazie a uno speciale accordo di cooperazione tra il Conservatorio di Musica “P. I. Tchaikovsky” e il Comune di Catanzaro, sta avendo luogo quest’anno la prima Edizione della Stagione Sinfonica del Teatro Politeama, con ospiti di livello internazionale.
Il 15 giugno il jazzista Danilo Rea suonerà insieme all’Orchestra.
Maestro Arlia, lei è uomo dalle molte tournée all’estero, il suo talento è apprezzato anche oltre i confini nazionali. I musicisti italiani sono un “valore esportabile”?
All’estero in questo momento la musica classica senza dubbio sta meglio che in Italia. Noi abbiamo una grandissima tradizione, nel mondo della lirica come degli strumenti, basti pensare che il pianoforte lo abbiamo inventato noi, è nato in Italia alla corte dei Medici. Negli ultimi vent’anni il nostro Paese è sembrato un po’ saturo. Gli altri hanno ancora fame di musica classica, per cui molti colleghi finiscono per scappare via.
E lei?
Ho deciso di rimanere in Italia. Viaggio parecchio e sono spesso all’estero, ma la mia attività si è radicata in Calabria. Essere italiani nel mondo è straordinario, perché ti porti dietro un bagaglio culturale e di tradizione notevole, io però mi considero fortunato.
Nel 2008 fonda Duettango. Com’è nata quest’idea?
È un progetto dedicato ad Astor Piazzolla, un compositore non molto conosciuto in Italia. Quando Piazzolla arrivò in Italia negli anni Ottanta, gli fu chiesto di scrivere una composizione facile da fischiettare, che potesse piacere al grande pubblico. Scrisse “Libertango”, noto per la pubblicità. In realtà questo artista ha un catalogo per tutti gli strumenti. In conservatorio, tuttavia, Piazzolla non è compreso nei repertori dei musicisti. Ci sono brani come “Escualo” per il violino o “Contrabajissimo”, con dei soli straordinari che i musicisti classici più bravi devono studiare per settimane.
Perché Duettango?
Perché nasce tra pianoforte e bandoneón. Abbiamo inoltre un progetto in quintetto, proprio per eseguire la musica di Piazzolla com’è stata scritta nel manoscritto dal compositore, con contrabbasso, chitarra elettrica, violino, pianoforte e bandoneón. È un autore considerato facile perché non si conosce davvero.
Anche il mondo della musica è afflitto da pregiudizi?
Qualche mese fa dirigevo la Nona di Beethoven in Germania, autore studiato al pari di Carlo Magno – anche noi dovremmo studiare Giuseppe Verdi come Garibaldi –, e un collega tedesco mi ha detto: “Però non puoi fare Beethoven e poi Piazzolla!”. Questo modo conservatore e pregiudizievole di vedere la musica classica finisce per metterla all’angolino e allontanare i giovani dal teatro. Negli Stati Uniti questo non succede. A Los Angeles la più grande sala di musica classica la hanno intitolata a Walt Disney. In Europa non sarebbe mai potuto accadere.
E la soluzione qual è secondo lei?
Penso che la musica classica non abbia bisogno in questo momento di essere conservata, ma di essere reinventata in maniera intelligente per stare al passo con il terzo millennio. Lo spartito è un importante vademecum, non una catena. Nel Settecento i preludi e fuga di Bach si suonavano con il clavicembalo, ora sono eseguiti sul pianoforte, perché è uno strumento senza dubbio più moderno.
Gli amanti del barocco sono una categoria da considerare e stimare, tradizione e innovazione non si contraddicono. Anche il teatro però dovrebbe innovarsi. Il fatto che i giovani si sentano a disagio se non hanno il papillon e il tight li allontana. All’estero ho visto gente di ogni estrazione e anche con i bermuda. Ora non sto dicendo che dobbiamo andare nudi a teatro, però una certa flessibilità aiuterebbe.
L’Orchestra Filarmonica della Calabria da lei fondata è ora una realtà. Si aspettava questo esito?
No. L’orchestra è nata per Piazzolla, come un piccolo gruppo di archi per dare una variante a Duettango. Il gruppo di archi sostituiva il pianoforte. Abbiamo iniziato con un repertorio di nuevo tango. Poi abbiamo cominciato la stagione sinfonica e siamo stati per parecchi anni nomadi, facendo tantissimi concerti sulla costa tirrenica, fino a quest’anno in cui ci siamo stabilizzati al Teatro Politeama, creando la nuova stagione sinfonica.
Anche lirica?
Ci sono stati “Madama Butterfly”, “Don Giovanni”. La prossima stagione la inaugureremo con i “Pagliacci” di Leoncavallo. Penso sia fondamentale per un’orchestra avere una casa, con un teatro alle spalle si lavora meglio, si costruisce meglio il suono. Credo che la nostra sia una realtà interessante anche perché è creata da giovani che stanno per debuttare e professionisti che si siedono con loro al leggio.
Il 15 giugno a Catanzaro arriva il jazz…
A chiusura della prima stagione sinfonica, di cui sono direttore, avremo ospite Danilo Rea, un grande amico e professionista. Questo spettacolo può essere un modo per avvicinare i generi, perché Danilo è un jazzista eppure viene a suonare a teatro con un’orchestra che ha sempre fatto musica classica. La commistione tra generi è un altro modo per avvicinare i giovani alla musica. La prima parte prevede Tchaikovsky e Franz Liszt, la seconda Danilo Rea e George Gershwin.
Recentemente è stato a Gerusalemme. Che cosa è successo?
Abbiamo avuto una tournée con una delle orchestre più antiche di Israele, la Jerusalem Symphony Orchestra. Abbiamo tenuto tre concerti, uno a Gerusalemme, uno ad Ashdod, uno Herzliya. Il protagonista è stato “Lo schiaccianoci” di Tchaikovsky. Questo è l’esempio di come la musica superi le barriere: un musicista italiano che dirige musica russa in Israele.
Per lei Maestro Arlia cos’è la musica?
Sono figlio di musicisti. La mia passione nasce perché i miei genitori da bambino mi hanno indirizzato verso la musica classica. Quando il bambino si trova di fronte a tante ore di studio e di sacrificio, per affrontare un certo percorso, il rapporto non è subito di amore. La musica classica presuppone una tecnica notevole. Ma in età adolescenziale è nata una passione che mi ha fatto capire che la musica era la mia strada. Il sacrificio è imprescindibile.
La musica come può intervenire nel dibattito socio- politico in Italia?
Credo che la musica abbia sempre avuto, anzitutto, un ruolo di grande coesione sociale. Anche durante i regimi del Novecento, ci sono stati artisti, come ad esempio Toscanini, che hanno dimostrato come la musica possa superare certe barriere ideologiche e politiche. In questo momento difficile ha inoltre un ruolo culturale, come tutte le arti.
Secondo me, un giovane che entra in un negozio di musica e acquista un disco delle sonate di Brahms o delle sinfonie di Beethoven difficilmente potrà buttare un frigorifero per strada o andare a rubare.
Certo. Però anche i nazisti ascoltavano Wagner…
Sì, ma era un esempio di nazionalismo. Ascoltavano Wagner e forse dicevano per partito preso che era meglio di Giuseppe Verdi. Anche quella è una forma di chiusura mentale.
La dimensione della disciplina è forse uno dei valori più educativi che dovremmo mutuare dalla musica in un momento di smarrimento?
In conservatorio s’imparano la disciplina e il rispetto di quello che è stato scritto dai compositori o delle tecniche che hanno utilizzato. Penso che la disciplina, il rigore, il rispetto delle regole siano comuni a tutte le arti.
Qual è un brano che le sembra possa interpretare al meglio lo spirito del tempo?
La musica di Leonard Bernstein. Penso a “West Side Story”, perché il musical è una dimostrazione di come nell’arte si possano fondere i generi e nella società i popoli e i pensieri.