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Le dita che sfiorano la creta, due occhi che possono solo immaginare, non potendo vedere. Se c’è qualcosa di universale al mondo, a cui tutti dovrebbero avere il diritto di accedere, quella è l’arte. E se è vero che l’arte è una forma visiva di poesia, ancor di più dovrebbe essere permesso di accedervi anche ai non vedenti. È sulla scia di questo assunto che la Fondazione palazzo Albizzini - Collezione Burri di Città di Castello ha ideato e progettato la mostra La luce del nero, in collaborazione con l’associazione Atlante servizi culturali (Asc).
L’obiettivo, secondo Gregorio Battistoni, presidente di Asc, è «la partecipazione dei non vedenti alle mostre temporanee e il permettere a questo pubblico di interagire e comprendere l’arte». Un intento nobile reso possibile nell’ambito del programma “Europa Creativa 2020” con il progetto “Beam Up” ( Blind Engagement In Accessible Museum Projects 2020- 2023), che ha lo scopo di rendere più accessibili i musei del vecchio continente. La mostra, visitabile da venerdì scorso e fino al 28 agosto, è a cura di Bruno Corà, presidente della Fondazione palazzo Albizzini, ed è stata allestita negli spazi dedicati alle esposizioni temporanee nella sede degli Ex Seccatoi del Tabacco, uno dei due poli museali dedicati al maestro Alberto Burri nella sua Città di Castello e rimessi a nuovo durante il periodo di chiusura forzata causa pandemia.
La mostra propone un’esperienza percettiva del Nero al pubblico sia vedente che non vedente, fornendo esempi di materiali e tecniche usate dagli artisti. In questo modo, nel percorso fruitivo della mostra avvengono processi cognitivi idonei a partecipare a un’esperienza, per molti versi, immediata e fortemente stimolante. Che le persone non vedenti possono vivere grazie a percorsi tattili e riproduzioni in braille capaci di far apprezzare la diversità dei vari materiali usati dagli artisti e la storia che si cela dietro ogni opera.
Nella mostra, oltre a quelli di Burri, sono presenti infatti lavori di Agnetti, Bassiri, Bendini, Castellani, Fontana, Hartung, Kounellis, Lo Savio, Morris, Nevelson, Nunzio, Parmiggiani, Schifano, Soulages e Tàpies. Artisti che hanno fatto del nero, considerato per molti secoli un “non- colore”, la base della propria vena creativa. «Il titolo di questa mostra nasconde un’ambizione - spiega Corà - la visione dell’opera non è solo un fatto oculare, ma è soprattutto mentale: è quello che si percepisce e deriva dall’opera e questa energia si può cogliere solamente se c’è un atto introspettivo». Al progetto hanno collaborato come partner la Fondazione istituto dei ciechi di Milano per tutti gli aspetti inerenti alla disabilità visiva e, per il settore museale, The Glucksman - museo di arte contemporanea nel campus dell’Università di Cork e il Museo di Arte Contemporanea di Zagabria.
Secondo Francesco Cusati, della Fondazione istituto dei ciechi di Milano, e Loretta Secchi, della Fondazione istituto dei ciechi Francesco Cavazza di Bologna, in una visita a un museo è importante poter toccare ciò che gli altri vedono. «Il tatto è un senso estremamente importante per una persona con una disabilità visiva e in questa mostra lo si potrà stimolare al meglio», commentano. Tra le opere presenti, Nero e oro di Alberto Burri, del 1993, Assioma- Darkness like the last point of light, di Vincenzo Agnetti, del 1970 e Concetto spaziale, attese, di Lucio Fontana, del 1959. Protagonista, in ognuna di esse, il nero.
A studiare le modalità di partecipazione dei non vedenti alla mostra hanno pensato direttamente le persone disabili, confrontandosi su ciò che può avvicinare maggiormente l’esperienza visiva di un’opera al suo eguale, ma al buio. Da qui è nata, ad esempio, l’idea di riprodurre in scala reale una porzione del Cretto di Gibellina, opera realizzata da Burri negli anni ’ 80 sulle macerie del terremoto del Belice, che per sua natura avvolge chi lo percorre e si presta perciò a un’esperienza percettiva totale.
«Tanta strada è stata percorsa nel sentiero dell’accessibilità e questo ha permesso, tramite tecniche e tecnologie sempre più avanzate, di far creare una propria idea dell’opera d’arte ai disabili della vista», sottolineano Nadia Bredice e Debora Tramentozzi, ragazze non vedenti che hanno attivamente collaborato alla realizzazione della mostra. «É indubbio che la vista è il senso del panorama - è il loro ragionamento - ma è altrettanto indubbio che il tatto è il senso del dettaglio, del particolare che resta indelebile al tocco e, infine, alla mente e al cuore: è proprio la percezione di tali dettagli che costituisce la chiave che rende partecipe anche il disabile visivo del bello dell’arte».