«L’avvocheria è un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non devono punto immischiarsi le femmine». Novembre 1883, i giudici della Corte d’Appello di Torino sono chiari: Lidia Poët, prima avvocata del Regno d’Italia iscritta all’Albo in quello stesso anno, deve lasciare l’Ordine. Perché, spiega la Corte, «sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste». Un “rischio” paventato da uomini, con parole scritte da uomini, quali erano i componenti della Corte. Poco male. La tenace Lidia Poët non demorde. Privata del “titolo”, continua a svolgere la professione nello studio legale del fratello per i 37 anni successivi alla sua cancellazione dall’Albo degli avvocati di Torino. Per esservi infine riammessa nel 1920 dopo una lunga battaglia.

Quella di Poët è una storia di straordinaria determinazione, un esempio di dedizione per chiunque indossi la toga. Che ora balza anche all’attenzione del grande pubblico con la serie tv “La legge di Lidia Poët” disponibile su Netflix dal 15 febbraio. Diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire (produzione Groenlandia), la fiction si propone di rileggere in chiave “light procedural” la vicenda reale di Poët, interpretata dall’attrice Matilda De Angelis. Nella serie in 6 episodi il personaggio realmente esistito si cala nel giallo di finzione, nei panni di un abile avvocato-detective. “Non era nostra intenzione - spiega Rovere presentando la serie a Torino - fare una biografia. Noi la diamo un po' per scontata e lasciamo agli spettatori eventualmente di approfondire. Noi abbiamo cercato di immaginare come si sarebbe comportata Lidia se si fosse occupata di risolvere casi”. “Ho amato follemente questa storia - aggiunge Lamartire - ho empatizzato moltissimo con questo personaggio. Affronta tutto con un entusiasmo che smuove le coscienze. Sfida un mondo dove le donne non sono ammesse con ironia e intelligenza”. 

“Groenlandia - aggiunge Rovere - cerca di fare un prodotto popolare ma che contenga temi anche attuali. Lidia rappresenta il contemporaneo che preme. Soffre ma riesce anche a trovare il lato ironico delle contraddizioni che vive. La sua è una battaglia drammatica che noi cerchiamo di veicolare con un tono anche leggero. Abbiamo trovato in Netflix un alleato fondamentale, garanzia di qualità e diffusione internazionale, un vero motore creativo che ha seguito il progetto fin dalla sua genesi. La speranza è che la nostra protagonista possa, parlando al mondo, essere di ispirazione per chi la saprà ascoltare”. Nel cast, accanto a Matilda De Angelis, c'è Eduardo Scarpetta nei panni del giornalista Jacopo Barberis. Pier Luigi Pasino è Enrico Poët, fratello di Lidia, mentre Sara Lazzaro e Sinéad Thornhill sono rispettivamente Teresa Barberis, moglie di Enrico, e Marianna Poët, la loro figlia. Dario Aita è Andrea Caracciolo. Attraverso uno sguardo che va oltre il suo tempo, Lidia assiste gli indagati ricercando la verità dietro le apparenze e i pregiudizi.

“Essere Lidia è stato molto bello. Solo potersi avvicinare alla vicenda umana e professionale e alla caratura di una donna che ha fatto la storia del femminismo e non solo è stata un’esperienza potente. Per l’evoluzione del concetto di parità di genere è molto importante che vengano scritte queste storie. Io ho cercato di dare a Lidia più sfumature possibili: determinata e leggera ma anche fallibile”, dice Matilda De Angelis. Che interrogata sull'attualità del tema anche nel mondo dello spettacolo, prosegue: “Sicuramente c'è ancora una grande disparità, anzitutto salariale. E all'estero, più che in Italia, viene denunciata. Ma le discriminazioni a volte possono essere anche più piccole e molto sottili ma altrettanto pericolose. Io sono privilegiata perché sono stata educata da mia mamma a rispondere. Io non le subisco le discriminazioni”, scandisce in maniera netta. Ad aiutare la battaglia professionale di Lidia c'è Jacopo (Scarpetta), un misterioso giornalista e cognato di Lidia, le passa informazioni e la guida nei mondi nascosti nella Torino di quegli anni (“non abbiamo dovuto fare grande sforzi perché la città è perfettamente conservata e ci ha offerto dei set naturali pronti all'uso”, dice Rovere).

La serie è stata scritta da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo. “La serie che abbiamo scritto - spiegano Guido Iuculano e Davide Orsini, creatori e sceneggiatori della serie - non è la storia della vita di Lidia, tutt'altro. Si potrebbe definire un procedural classico, con i suoi casi di puntata, gli omicidi, le indagini e i colpi di scena finali. Ma al di là dei singoli casi, al di là del mondo di fine Ottocento che ci siamo divertiti a ricostruire, al di là perfino dei guizzi e dei vezzi della nostra protagonista, l'essenziale per noi è il suo spirito: volendo usare una sola parola, la più giusta per definirlo ci sembra anticonformismo”. La serie è “un grande inno alla libertà di spirito - proseguono i due autori - un’ode ad una donna - Lidia Poët - che sa essere allo stesso tempo tutte queste cose: determinata, testarda, coraggiosa, ma anche goffa, strana, ostinata e buffa” ed è anche “un omaggio alla vera Lidia Poët, una celebrazione di quella virtù che risuona e risplende nella vita di chiunque voglia poter dire, un giorno, di non esser passato inutilmente su questo pianeta”.