Marta Marzotto era Marta Marzotto. Punto. Un pezzo unico, un monotipo dal guardaroba degno di un'antipapessa. Lo era per vitalità e faccia tosta. Cominciando dalle stimmate felici e fortunate della sua storia personale. Già, nel cosiddetto "cinemondo" italiano degli ultimi sessant'anni, o forse, pensando anche allo sbraco, araldicamente parlando, sarebbe assai più appropriato chiamarlo girarrosto, la parabola di una ragazza chiamata all'anagrafe Marta Vacondio, lei che sarà poi Marta Marzotto, contessa, ha molto della favola popolare, tra borotalco, rotocalco e infine l'arrivo del vero sceicco bianco, lei, sempre lei, già mondina, nata in una famiglia modesta, se non povera, roba da remake naturale di Riso amaro.Dunque, ecco, nell'ordine, Marta mondina, Marta sartina, Marta modella, Marta contessa a Cortina, Marta stilista, di più, "Marta da legare", così come recitava, con andamento da stella filante di Marrakech, altra sua residenza privata non meno mondana, lo spot della linea di moda che si donò, non per nulla in mostra e in vendita, se non rammento male, sugli scaffali e le vetrone della Standa. Marta Marzotto, sebbene noi la si immagini tra Roma e Milano e Montecarlo, nasce tuttavia nell'Emilia rossa, allora sotto il tallone di ferro rivestito d'orbace, nel febbraio del 1931.E sembra quasi che a raccontare la sua favola, davvero l'immagine del girarrosto mondano debba sfolgorare mettendo insieme, fra mille scintille e sfavillii, tutte le diapositive, sebbene incorniciate d'argento, della sua vita fra leggenda, fortuna, sfrontatezza, bellezza, gambe da sturbo, sbraco mondano e perfino una pioggia di denaro, soldi e lussi, cominciando dal matrimonio fortunato con il nobiluomo Umberto Marzotto nell'anno di grazia 1954, il conte di Valdagno. Che le farà dono di 5 figli.Il resto, è sempre il medesimo girarrosto, e tuttavia, sebbene lo fondale della sua avventura mai vedrà del tutto strappato il sipario mondano, in verità mostra molte altre caselle che sembrano distinguersi dal quotidiano della dimensione coniugale dorata e insieme un po' antracite di una moglie esemplare d'industriale tessile.Dicevano di lei che avesse una faccia da indiana d'America, anzi, da squaw, o forse insinuavano, visto il trascorrere degli anni (forti della battuta del cinico Roberto D'Agostino: "? se ti bacia, t'attacca le rughe") insinuavano appunto che Marta da Legare sembrasse direttamente Geronimo o forse Toro Seduto, proprio sembrasse un capo Sioux o Apache. Effettivamente, ricordandola in una sorta di sbracatissimo "Marta-Marzotto-Show", realizzato in una non meno scaciata emittente locale romana, l'impressione era esatta, cominciando dalla sigla dove Marta-Geronimo, vestita con una palandrana afro-tirolese, roba da antipapessa di via Condotti e Campo Marzio, ballava accanto a un drappello di posteggiatori in abito da gondolieri, ed era davvero brava ad accompagnarli battendo le mani e sorridendo felice, commensale perfetta, incurante d'ogni raccapriccio; in quell'avventura si faceva addirittura affiancare dal poeta Dario Bellezza, lì in veste di opinionista, lei a battere le mani, lui, il poeta, a lamentarsi di una rinite allergica, uno dei picchi più alti dell'emittenza locale del Lazio burino.Dimenticavo però di dire, prima di passare ovviamente al racconto del girarrosto d'autore con l'arrivo di Renato Guttuso, che un giorno dalla bocca di un truccatore di via Teulada sentii pronunciare su di lei un meraviglioso e forse perfino esatto giudizio somatico: «Oh, se gl'è metti i capelli dietro le 'recchie è precisa precisa a Gregori Pec! ».Guttuso, sì, il grande amore, Guttuso che ingaggiato per decorare la sala da bagno di Marta nostra nella sua villa a Cortina, e poi eccoli perfino alle feste dell'Unità. Una perla della signora Marzotto in versione "compagna"? Anni Novanta: intervistata, Marta nostra disse che Renato suo le aveva presentato Carlos, il "terrorista", sì, «me l'ha presentato a una festa dei comunisti». Peccato per lei che si trattasse di un altro Carlos, ossia di Vittorio Vidali, il leggendario comandante del "Quinto Regimiento" repubblicano della guerra civile spagnola. E non di Carlos "lo Sciacallo" implicato nella causa palestinese. In compenso, i fianchi e il fondoschiena, perfino la mascella e il mento di Marta da Legare venivano benissimo nei quadri e perfino nelle lito da grandi tirature che Renato realizzava per la gioia del generone nostrano, affinché questo potesse arredare le sue case e i suoi villini. Esatto: anche in assenza d'occhi, bocca e naso, Marta era comunque subito intuibile. Marta, fra molto altro, a Renato provò perfino a far sponsorizzare, accanto alle piastrelle da bagno, una linea di scarpe da uomo, le "duilio" griffate Guttuso.E che dolore per Renato, Casanova ormai vecchio, scoprirsi improvvisamente sostituito da Lucio Magri, anche lui comunista, Lucio, cofondatore del gruppo del "manifesto". Anche Magri, sempre secondo alcune testimonianze inoppugnabili, amava il lusso, perfino i suoi calzini era d'obbligo che fossero di cashmere. Al centro dell'altare del loro amore, idealmente dimora una celebre foto che li mostra nudi e abbronzati, di un'abbronzatura di classe e insieme artistica, sorta di poster dell'estate del lusso comunista e insieme glamour.Oh, dimenticavo: quando i gibellinesi, ossia i cittadini della città martire del Belìce, chiesero a Guttuso d'avere in dono come risarcimento morale "La notte di Gibellina", opera-simbolo della loro epopea di terremotati, si sentirono rispondere che quel quadro era stato donato a Marta Marzotto. Ed eccolo, il quadro nella sala da pranzo della nostra contessa, a far da sfondo, tra coppole e bandiere rosse, a una tavola apparecchiata "comme il faut".Dai, torniamo a Magri. Di Lucio, Marta diceva che fosse «il più bello che si sia mai visto», ed effettivamente non le si può dare torto, figurava assai bene, tra sciarpa bianca e loden verde, nel suo salotto romano, lo stesso salotto che, dopo la morte dell'altro, ossia Renato, cioè l'Abbandonato, trasferì a Milano, quasi che Roma l'avesse delusa, avesse esaurito ogni spinta propulsiva smart, tra le vicende di tangentopoli e gli strascichi legali personali incontrati con gli eredi di Guttuso, cause e ancora cause, diffide e frecciate, anche riguardo alle lettere d'amore che Renato suo le aveva scritto nel corso della loro inenarrabile relazione?E intanto il girarrosto mondano sembrava toccare gli ultimi istanti ancora spendibili, gli ultimi picchi prima dell'odore di stantio. Cosa rimaneva, insomma, dell'irrefrenabile Marta da legare in queste ultime nostre stagioni? Poco, quasi nulla, l'immagine di lei, o forse dei suoi camicioni da gran visir, quasi che ballando come una volta tornasse sempre dalla corte di chissà quale Gran Can, quasi che, svanito quel clima di estremo godimento mondano, dovessimo ancora riconoscerle la natura da pazza euforica, un pezzo unico, una tipa davvero strana, comunque amabile, sincera nel suo collezionismo di lussi di un secolo ormai avariato, all'ultimo giro d'arrosto mondano. Se n'è andata a 85 anni. Era già nella sua Dopostoria.