Il Dubbio ha dedicato un ampio approfondimento al processo a Gesù nell’edizione del 3 aprile. Un fatto storico che nei secoli ha interessato e appassionato studiosi di ogni tipo, giuristi compresi.

«Nessun altro procedimento criminale della storia – scrive Massimo Miglietta, ordinario di Istituzioni di diritto romano nell'Università degli Studi di Trento -, si pensi, ad esempio, al cosiddetto processo a Socrate, o quello intentato contro i Templari o a Galileo, soltanto per far cenno ad alcuni, è stato oggetto, sin dal momento della sua conclusione, a continui fenomeni di interpretazione e reinterpretazione. Si potrebbe dire, in estrema sintesi, che esso costituisca un “processo costante”, ossia contro l'imputato Gesù, contro il magistrato romano Pilato, contro le autorità ebraiche e Caifa, in particolare. Persino contro l'intero popolo ebraico, laddove si voglia rievocare, prima ancora di esprimere una valutazione sulla sua attendibilità storica, l'emblematica affermazione dei Giudei racchiusa in Matteo: “Il suo sangue ricada su di noi e suoi nostri figli!”».

Ma come sarebbe stato difeso il Nazareno, se avesse avuto modo di beneficiare dell’assistenza di un avvocato? Lo abbiamo chiesto al penalista Alessandro Traversi del Foro di Firenze, autore, tra gli altri di un interessantissimo libro intitolato “Tecniche argomentative e oratorie” (Giuffrè Francis Lefebvre). «Considerata la gravità delle imputazioni – dice al Dubbio l’avvocato Traversi -, sarebbe stato forse opportuno cercare, innanzitutto, di rendere il giudice “docile”, “attento” e “benevolo”. In quale modo? Seguendo gli insegnamenti dei Maestri dell’arte retorica, mediante la captatio benevolentiae. Come nella celebre arringa pro Cluentio nella quale Cicerone si rivolgeva al giudice con questa bella apostrofe: “Un giudice assennato deve pensare di aver ricevuto dal popolo romano una facoltà di agire commisurata al compito che gli è stato assegnato e ricordare non solo che gli è stato conferito un potere, ma che è anche stata riposta in lui della fiducia. Ed è questa la vera prerogativa di un uomo grande e saggio, allorché è chiamato ad esprimere un giudizio, quella di avere come consiglieri la legge, la scrupolosità, l’equità, la buona fede e allontanare invece l’ostilità e ogni altra passione”».

A questo punto Traversi si addentra nella fase della costruzione della strategia difensiva in favore del suo illustre assistito. «Per quanto riguarda la confutazione delle accuse – evidenzia -, segnatamente quella di sedizione, avrei preso spunto da quel che Gesù, a detta di tutti, soleva ripetere. Ad esempio: “Beati i miti”, nella parabola delle beatitudini. E così pure: “A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra” e “a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica”. Parafrasando Shakespeare, la sedizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa.

Per ultimo, in conformità all’ordine nestoriano raccomandato dagli antichi retori, l’argomento più forte: quando “uomini subdoli”, verosimilmente mandati dai sacerdoti del Sinedrio per coglierlo in fallo, chiesero a Gesù se fosse lecito pagare il tributo a Cesare.

Come rispose Gesù? “Mostratemi la moneta del tributo”. Gli presentarono un denaro ed egli chiese loro: “Di chi è l’immagine sulla moneta?”. Risposero: “Di Cesare”. E allora: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Fu questo un atto di sedizione?». Su questo punto l’avvocato Traversi non ha dubbi.

«Siamo quindi di fronte ad un “tipo d’autore” – afferma - addirittura antitetico a quello del ribelle o sobillatore politico. Al più, si tratta di un predicatore visionario o, come lo descrive Bulgakov, in una splendida pagina del suo “Il maestro e Margherita”, un semplice “vagabondo”, che va sostenendo che tutti gli uomini sono buoni. “Anche il centurione Marco? Anche Giuda?”, chiede Ponzio Pilato nella rielaborazione letteraria del racconto evangelico di questo celebre romanzo: “Sì, sono uomini buoni”».

Interpellato dal Procuratore romano della Giudea, Gesù diede dimostrazione del suo modo di fare mai incline alla sfida, ma improntato alla ragionevolezza. «Né d’altra parte – conclude Alessandro Traversi - può essere ritenuto un elemento a sfavore il fatto che alla domanda Quid est veritas?, postagli da Ponzio Pilato, Gesù sia rimasto in silenzio, poiché sarebbe stato invece segno di arroganza fornire una risposta ad una questione che ancor oggi si ripropone irrisolta nella sua assolutezza.

Nell’arringa difensiva, sarebbe stato forse opportuno utilizzare un argomento ad metum di questo tipo: confidiamo nella assoluzione, ma, se così non fosse, non c’è dubbio che un’eventuale sentenza di condanna sarà ricordata come caso esemplare di errore giudiziario, in secula seculorum».

Sappiamo come è andata a finire. L’uccisione e la morte sulla croce - da innocente - del figlio di Dio, cancellate poco dopo dalla Resurrezione, hanno cambiato la storia dell’umanità.