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Sono molte le riflessioni che “Un nemico del popolo", l’opera di Henrick Ibsen messa in scena con la regia e l’interpretazione di Massimo Popolizio, suscita. E tutte attengono al parallelo tra l’intreccio narrativo dello scrittore norvegese, in particolare il rapporto tra il fratello amico della verità che però il popolo rifiuta e l’altro fratello sindaco che rappresenta le ragioni del potere e della realpolitik, e l’attualità, anche la più stretta. Da dove cominciare? Un buon punto di partenza è domandarsi se siamo più “maggioranza compatta che ha il potere” o più “minoranza che ha la ragione”. È l’interrogativo stringente che si pone Stockmann, il protagonista del capolavoro di Ibsen, nella traduzione di Luigi Squarzina, firmato da Popolizio, che ne é anche l’interprete in compagnia di Maria Paiato, in scena al Teatro Argentina fino al 28 aprile. Un interrogativo che procura disagio in tutti i cittadini che devono “fidarsi” di chi li amministra, bombardati e manipolati da una comunicazione aggressiva e molto attenta a non inimicarsi i potenti. Lo spettacolo - come già evidenziato nell’intervista del Dubbio a Popolizio - è davvero imperdibile per la sua forza dirompente che tratteggia con ironia e realismo spinto fino alla spietatezza gli intrecci che regolano il sistema sociale. Il vero interrogativo è chi ha ragione tra i due fratelli, e se davvero chi ha dalla sua la razionalità poi non può che coltivare la solitudine. A rendere molto efficace e viva la rappresentazione contribuisce senz’altro un cast di attori e attrici che imprime allo spettacolo un ritmo ben congegnato e meticolosamente studiato che esalta i temi e i contenuti della drammaturgia. A coadiuvare i due bravissimi attori protagonisti, Massimo Popolizio e la perfetta Maria Paiata, ci sono Tommaso Cardarelli, Francesca Ciocchetti, Martin Chishimba, Maria Laila Fernandez, Paolo Musio, Michele Nani, Francesco Bolo Rossini, Dario Battaglia, Cosimo Frascella, Alessandro Minati, Duilio Paciello, Andrea Volpetti, Gabriele Zecchiaroli. I costumi sono di Gianluca Sbicca; i video di Lorenzo Bruno e Igor Renzetti. L’assistente alla regia è Giacomo Bisordi. La produzione del Teatro di Roma-Teatro Nazionale.Potere, corruzione, conflitto politico e morale, sottendono alla scelta di Popolizio-dottore di denunciare l’inquinamento delle acque termali della città, fatto che procurerebbe un grave danno all’immagine e all’economia ma anche agli interessi particolari di alcune categorie sociali. Lo fa in contrapposizione al sindaco, che tenta di insabbiare la relazione in nome del “benessere” collettivo e della maggioranza dei cittadini. Ibsen certamente non lo poteva prevedere, quando nel 1882 scrisse il testo, che l’attualità di queste problematiche non ci avrebbe mai abbandonato e che l’intreccio tra politica e corruzione trova diverse sponde nella società contemporanea, tra cui anche una opinione pubblica che si lascia convincere e diventa spesso compiacente del potere politico. Laddove agisce e diventa parte in causa anche un sistema informativo che non si fa scrupolo di manipolare i dati e, dunque, condizionare l’opinione e l’etica pubblica. La solitudine del dottor Stockmann, con il suo camice bianco, si legge bene anche dalla bella scena, realizzata da Marco Rossi, che disegna una prospettiva a più dimensioni, in cui l’attore si muove passando da un quadro all’altro del palco, dalla casa laboratorio alla redazione de La voce del popolo, dalla fabbrica allo spazio assembleare che coinvolge le voci dei concittadini dai palchi del teatro. Le luci, a cura di Luigi Biondi, sono forti: forse per evidenziare che tutto può essere visibile e controllabile? “A che ti serve la ragione se non hai il potere”, gridano moglie e figlia a Stockmann. Ed è il disvelamento lancinante di un sentimento che è dolore e insieme consapevolezza. Emergono due visioni: la necessitaà etica di dire la verità e la convenienza personale a tacere. Il medico si muove tra sillogismi e paradossi: “Saremo tutti d’accordo - esclama - nell’affermare che sulla faccia della terra gli imbecilli costituiscono la maggioranza. Allora perché dovremmo farci comandare dalla maggioranza?”. È il messaggio di Ibsen. E le regole della vita di una democrazia appaiono di grande interesse per questi tempi. “Quando questa esigenza incontra un testo del passato, forte e attuale come “Un nemico del popolo” - annota Popolizio - la sfida della messa in scena diventa attiva, volta alla ricerca di un’efficacia nel raccontare, e ricettiva, per ascoltare e apprendere ciò che un’opera così densa ancora oggi ci svela sul potere, la corruzione, il bene comune e l’interesse personale».